Concludiamo le Questioni Generali con uno sguardo alle culture intorno a Israele per vedere se vi siano stati degli esempi di profezia, fenomenologicamente parlando, e quale significato questi esempi possano avere per la comprensione della profezia biblica.
Dopo una premessa sulla distinzione fra divinazione e profezia, i punti principali sono:
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Premessa: Divinazione e profezia
L'AT parla tranquillamente di profeti e datori di oracoli fuori di Israele (e.g. Balaam in Num 22-24, i profeti di varie popoli stranieri in Ger 27,9). È chiaro che il termine "profeta" in Ger 27,9 non implica di per sé un giudizio di autenticità teologica, ma viene usato per indicare un certo tipo di "specialista" religioso dal punto di vista fenomenologico. Qui si tratta di distinguere fra "profeta" in questo senso e gli altri specialisti religiosi stranieri menzionati in Ger 27,9, cioè, "indovini ... sognatori ... maghi ... stregoni", personaggi noti anche in Israele come risulta dalla legge che proibisce la loro attività (Deut 18,9-22, spec. vv. 10-14). In altre parole, dobbiamo chiarire la distinzione fenomenologica fra "divinazione" (l'attività degli indovini e simili) da una parte, e "profezia" (in Israele e fuori Israele) dall'altra parte.
In sintesi, per gli studiosi di scienza delle religioni, si tratta di "divinazione" quando i praticanti si servono di conoscenze tecniche acquisite e (qualche volta) anche di interventi tecnici con lo scopo di poter preannunziare il futuro corso degli eventi (e.g. epatoscopia [esame del fegato di animali], astrologia, ecc.); si tratta invece di "profezia" (fenomenologicamente parlando) quando i praticanti dicono di aver ricevuto dei messaggi immediatamente dalla divinità, messaggi che sono di per sè chiari e che non hanno bisogno di tecniche manipolatorie o di attività interpretativa dotta.
Lasciando a parte qui tutto ciò che rileva dalla "divinazione" nel senso descritto (anche se ha avuto un enorme influsso soprattutto nella cultura mesopotamica degli Assiri e dei Babilonesi, molto più della loro "profezia"), fissiamo l'attenzione sulla "profezia" nelle culture dell'antico Vicino Oriente intorno a Israele.
Dalle varie testimonianze di profezia nella zona mesopotamica scegliamo due casi importanti, quello della città di Mari nell'epoca antico-babilonese e quello dell'Assiria nell'epoca dell'impero neo-assiro.
I resti dell'antica città si trovano a Tel Ḥarīrī, sull'Eufrate dalla parte siriana. Gli scavi, a cura di archeologi francesi, iniziarono nel 1933. Nel palazzo del re di Mari, databile intorno al 1800 a.Cr, un grande archivio è stato scoperto con circa ventimila tavolette in scrittura cuneiforme. La maggior parte di esse tratta di questioni economiche ed amministrative ma c'è anche una buona quantità di lettere indirizzate al re. Fra queste ultime c'è una cinquantina che menzionano fenomeni profetici e secondo molti studiosi costituiscono la scoperta più importante per illustrare la profezia extrabiblica.
I testi sono scritti in lingua accadica ma con vari tratti dialettali tipici del semitico del nord-ovest, che mostra come i membri della classe dirigente a Mari non erano Mesopotamici in senso pieno ma avevano le loro origini nella Siria.
La corrispondenza di Mari fa menzione di diversi profeti e profetesse dalla città di Mari ma anche di altre località dalla zona intorno fin alla città di Aleppo nell'occidente (in Siria), alcuni dei quali godevano di un certo status ufficiale come profeti riconosciuti, altri invece erano degli individui privati che a un certo momento dicono di aver ricevuto dei messaggi divini da comunicare al re.
I profeti "ufficiali" avevano generalmente una collocazione fra il personale cultico. Erano di diverse classi: alcuni venivano chiamati con un termine accadico generalmente tradotto come "estatici", altri sono classificati come "rispondenti" (riferimento ad un'attività oracolare?), e in un testo pubblicato recentemente si trova anche il termine nabûm come nome di gruppo (chiaramente connesso con l'ebraico nābî’). Generalmente questi profeti e profetesse davano i loro oracoli nel contesto cultico (e.g. dopo un sacrificio per il re) ma ci sono anche alcuni casi di oracoli pronunciati fuori del culto.
I profeti "non-ufficiali" vengono presentati solo con il loro nome o città di origine, non come appartenenti a una classe riconosciuta. Generalmente ricevevano i loro messaggi in sogno, e in un paio di casi il sogno ebbe luogo mentre il ricevente dormiva in un tempio (cf. il giovane Samuele in 1 Sam 3).
Le profezie sono indirizzati quasi sempre al re di Mari (ma bisogna aggiungere che si tratta di testi conservati appunto nell'archivio regale). Comunque c'è anche un testo indirizzato a tutto il popolo di Mari ammonendoli a non ricostruire un certo tempio, e c'è un altro testo indirizzato a un popolo straniero (Babilonia, rivale di Mari in quel periodo).
Il contenuto dei messaggi sono quasi sempre favorevoli al re (di nuovo ciò non dovrebbe sorprendere più di tanto), incoraggiandolo nella sue imprese o esprimendo l'ira di una divinità (il contesto è politeistico) contro i nemici del re. In netto contrasto con la profezia biblica, messaggi critici nei confronti del re o messaggi sulla tematica di giustizia sociale sono rarissimi a Mari.
Interessante è il fatto che una buona parte dei messaggi profetici di Mari inizia con la formula "Così dice ND [nome di una divinità]...". La frase ebraica corrispondente ("Così dice YHWH...") è molto frequente nella letteratura profetica dell'AT; viene chiamata dagli studiosi "la formula del messaggero" a causa della sua somiglianza con la formula usata da un messaggero nella vita civile (cf. Gen 32,4-6).
In fine, notiamo che anche la modalità comunicativa dell'azione profetica simbolica è attestata in un testo di Mari recentemente pubblicato (cf. Cagni 1995:71-72): un profeta estatico divora un agnello vivo di fronte alla gente, per simboleggiare la minaccia di un'epidemia.
Circa mille anni dopo i testi di Mari e contemporaneamente più o meno con Geremia in Giuda, ci sono diversi testi profetici dall'Assiria nella Mesopotamia settentrionale (la città di Arbela e varie altre località).
Come a Mari anche nell'Assiria troviamo sia uomini che donne con funzione profetica, spesso indicati con nome di classe, uno dei quali è ancora "estatico", il che mostra la continuità impressionante del fenomeno nella zona mesopotamica. Ma ci sono anche profeti "non-ufficiali" indicati solo col nome proprio.
In molti casi le profezie sono state ricevute in sogno o in visione e come contenuto sono favorevoli per il re d'Assiria. Spesso si trova una formula d'incoraggiamento da parte della divinità (spesso la dea Ishtar): "Non temere ...", che troviamo anche diverse volte nel Deutero-Isaia (cf. Is 41,13; 43,1).
Una novità importante qui è l'esistenza di collezioni di oracoli (a Mari si trattava sempre di lettere separate), qualche volta raggruppati secondo la divinità nel cui nome gli oracoli sono stato dati a diversi profeti / profetesse, e in un caso sembra (purtroppo il testo è danneggiato in parte) che gli oracoli di un profeta specifico sono stato raggruppati insieme (cf. i libri profetici biblici!).
Spostandoci all'occidente esamineremo adesso alcune testimonianze del fenomeno profetico nell'entroterra dell'antica Siria, poi nella zone costiera della Fenicia (l'odierno Libano), e in fine fra gli stati aramei della Siria e della Giordania (in termini odierni).
Lasciamo a parte l'antico e per altri versi importantissimo sito siriano di Ebla (Tell Mardikh). Oggi gli specialisti sono d'accordo che non ci sia nessuna menzione di profeti nei molti testi trovati lì dagli archeologi italiani dagli anni 1970 in poi (inizialmente si pensava che alcuni pochi testi di Ebla parlavano di profeti, ma poi si ha visto che si trattava di una lettura inesatta).
Emar (Tell Meskene), situata in Siria sul fiume Eufrate al punto più occidentale del suo percorso, aveva la sua massima fioritura nel 13º sec. a.Cr., come risulta dagli scavi di archeologi francesi dagli anni 1970 in poi. Il dato che ci interessa qui è la scoperta di due sostantivi plurali in alcuni dei testi accadici di Emar, nābû e munabbiātu. La somiglianza con l'ebraico nābî’ è chiara, ma purtroppo non è altrettanto chiaro quale significato preciso abbiano questi termini a Emar. Nella lingua accadica la radice verbale nabû(m) può significare "chiamare, gridare" ma anche "lamentare", e diversi specialisti sostengono che nei testi di Emar si tratta piuttosto di quest'ultima accezione. I personaggi in questione dunque non sarebbero dei profeti o profetesse (come è stato proposto nella prima edizione dei testi), ma gente con il compito professionale di eseguire lamenti funebri o di fare invocazioni nel contesto del culto.
Pertanto la pertinenza dei testi di Emar per una discussione sul profetismo dev'essere lasciata come questione ancora sotto discussione.
L'antica città di Biblo, sulla costa fenicia (l'odierno Libano) al nord di Beirut, era un centro importante per il commercio con l'Egitto. Di fatti è un testo egiziano, la storia di Wen-Amon (Unamon), che menziona un episodio di profetismo a Biblo, probabilmente nel 11º sec.
Secondo il racconto, Wen-Amon, un ufficiale egiziano mandato in Fenicia per comprare legno per il tempio del dio Amon a Karnak nell'Egitto, non è stato accolto bene dal principe di Biblo. Dopo un mese di umiliazioni subite Wen-Amon finalmente riuscì nella sua missione grazie all'intervento di un giovane nella corte del principe di Biblo. "Afferrato dalla divinità" (profezia estatica!) il giovane proclamò il messaggio divino che ordinava il principe di trattare bene l'inviato egiziano.
Abbiamo qui un esempio di profezia estatica più o meno contemporaneo con Samuele, Saul e i gruppi estatici in Israele.
Infine vediamo due casi di profezia dalla zona di cultura aramea nella Siria e nella Giordania.
Da questa città aramea nella Siria centrale abbiamo un testo dalla prima metà del 8º sec. che fa menzione dell'attività di veggenti. Il re locale parla in prima persona nell'iscrizione, descrivendo un grave pericolo per il suo regno quando la sua città è stata assediata da una coalizione di re ostili. In questo momento di crisi, dice il re, "ho alzato le mie mani a Baal-Shamayin [al Signore dei cieli], e Baal-Shamayin mi diede ascolto. Baal-Shamayin mi parlò per mezzo di veggenti (ḥāzīyīn: cf. Hebrew ḥōzeh) e di indovini (‘ddn: termine di significato incerto). Mi disse: Non temere, perchè sono stato io a farti re e sarò io ad appoggiarti e liberarti da tutti questi re che ti assediano..."
In questo testo, più o meno contemporaneo con Amos, abbiamo dunque un oracolo di buon futuro, con la formula "non temere", comunicato da veggenti.
Da questa località nella Giordania odierna abbiamo un testo scritto sulla parete di un'edificio rovinato, che è stato pubblicato per la prima volta nel 1976. Il testo, incompleto e in condizioni non ottimali, è probabilmente scritto in una forma di aramaico, anche se alcuni specialisti preferiscono parlare di un dialetto sud-canaaneo. Anche la data del testo è oggetto di discussione: secondo alcuni sarebbe della seconda metà del 9º sec., secondo altri potrebbe datare dalla prima parte del 8º sec., secondo altri bisognerebbe scendere alla fine del 8º o l'inizio del 7º sec. Comunque è un testo di grande importanza in quanto parla di una figura profetica, il profeta-veggente Balaam, che ci è noto anche dalla Bibbia (cf. Num 22-24); questo è l'unico caso del genere.
Secondo la ricostruzione di Lemaire il testo danneggiato inizia con le parole spr [b]l‘m[.brb‘]r... "Libro (testo, documento) di Balaam figlio di Beor...". Balaam, descritto come "veggente degli dèi" (ḥzh ’lhn), comunica al popolo che gli dei sono in collera a causa dei peccati del popolo e hanno l'intenzione di distruggere la terra col fuoco. Balaam esorta il popolo a pentirsi per scongiurare tale calamità. Le somiglianze con il messaggio di Geremia uno o due secoli dopo sono impressionanti.
Dopo aver considerato questa selezione di dati non è più possible trattare la profezia in Israele come una novità assoluta da studiare in isolamento dal suo mondo. Infatti abbiamo visto che la profezia estatica esistette a Mari e a Biblo prima della sua ricorrenza in Israele. Il tipo di profeta "veggente" si trova a Ḥamat and Deir ‘Allā. La radice NB’, con riferimento a profeti, l'abbiamo visto a Mari ca. 1800 a.Cr (e forse anche a Emar nel 13º sec.). Il concetto di profeta come messaggero della divinità emerge dall'uso della "formula del messaggero" a Mari.
Però non basta un paragone puntuale di questo tipo, bisogna esaminare la collocazione del fenomeno "profezia" nella singole culture. E qui emerge una grande differenza fra Israele e le altre culture intorno. In quest'ultime la profezia è un fenomeno del tutto marginale; le sue poche attestazioni sono enormemente superate dalla massa di testi che trattano della divinazione nelle sue varie forme. E, a parte il caso delle collezioni neo-assire, si tratta sempre di testi profetici singoli; non c'è niente (neanche nell'Assiria) che rassomigli ai grandi libri profetici che sono stati prodotti nel corso dei secoli in Israele.
Bisogna concludere che, anche sul piano fenomenologico di storia comparata delle religioni, la profezia in Israel aveva un'importanza religioso-sociale molto superiore a quella della profezia dei popoli circostanti.
Essendo la profezia una realtà delle religioni di buona parte del antico Vicino Oriente, possiamo dire, teologicamente parlando, che la vera Parola di Dio si inculturò in questo fenomeno religioso preesistente (come anche per il sacerdozio e i sacrifici), prendendo forme note di comunicazione e all'occorrenza purificandole e addattandole alla religione di YHWH.