L'intento della lezione è di offrire un'introduzione alla terza parte del libro d'Isaia; purtroppo manca il tempo per leggere un testo specifico da questa parte del libro. Fino a tempi abbastanza recenti questi undici capitoli conclusivi sono rimasti un po' trascurati negli studi isaiani di fronte alle due parti precedenti del libro. Questa situazione si è molto cambiata recentemente, perchè gli studiosi si stanno rendendo conto sempre di più che i temi e le problematiche che emergono da questi ultimi capitoli sono quelli che hanno avuto un'influsso notevole sulla composizione dell'intero libro di Isaia. Comprendendo meglio Is 56–66 si comprende meglio l'intero libro nella sua forma finale.
C'è da notare inoltre che questi capitoli hanno avuto un forte influsso anche sul linguaggio del NT in molti passi (nel NT ci sono ca. 110 contatti con Is 56–66, in forma di citazioni o di allusioni).
Come abbiamo fatto per il Deutero-Isaia, anche qui cominceremo dalla forma finale dei capitoli nel testo masoretico, cercando di vedere dal testo stesso quali avvenimenti siano presupposti da molti testi di questi capitoli e poi quali siano le caratteristische letterarie e tematiche dei capitoli come emergono da uno studio dei loro generi letterari e della loro strutturazione. In fine, passando alla fase di studio diacronico, vedremo le grandi linee della discussione sulla questione della genesi dei capitoli. I punti principali dunque sono:
La bibliografia della lezione si trova qui. E per i commentari sul Trito-Isaia, si veda la bibliografia dei commentari di tutto il libro qui.
Si tratta di dare uno sguardo sintetico iniziale a Is 56–66 per cercare di identificare quali aspetti siano caratteristici di quei capitoli soprattutto nei confronti di Is 40–55. Vedendo prima i dati del testo raggruppati sotto cinque titoli, saremo poi in grado di arrivare ad una conclusione riguardante l'ambiente generale del Trito-Isaia.
In Is 56–66 non ci sono riferimenti a Babilonia nè alle sue divinità nè alle sofferenze dei deportati in Babilonia nè al re Ciro nè alla marcia del popolo liberato attraverso il deserto trasformato. Manca, cioè, l'atmosfera babilonese che caratterizza soprattutto la prima parte del Deutero-Isaia (capp. 40–48).
Mentre nel Deutero-Isaia il tempio viene menzionato una sola volta (44,28b: che poi probabilmente non appartiene allo strato più antico della raccolta), nel Trito-Isaia invece i riferimenti al tempio abbondano (56,5-7; 60,7-13; 63,18; 64,10; 65,11; 66,1.6). In questi testi probabilmente c'è da distinguere fra quelli che presuppongono che il tempio sta ancora in rovine (63,18; 64,10) e quelli che suggeriscono che è di nuovo in funzione (56,5-7; 65,11; 66,6).
Mentre il termine "sabato" è assente dal Deutero-Isaia (e si trova solo una volta nel Proto-Isaia [1,13]), diversi testi del Trito-Isaia menzionano l'osservanza del sabato come un'esigenza importante dell'appartenenza alla comunità giudaica (56,2.4.6; 58,13.13; 66,23).
Mentre la critica sociale è praticamente assente nel Deutero-Isaia e la critica cultica vi si trova principalmente nella forma di derisione per i fabbricatori di statue di divinità, ambedue i temi si trovano nel Trito-Isaia in forme che rassomigliano di più alla profezia pre-esilica: (1) dure denunce dell'ingiustizia sociale all'interno della comunità giudaica (capi che agiscono per il proprio tornaconto, calpestando i diritti degli altri, ecc): cf. 56,9–57,1; 58,1-10 (il digiuno che YHWH vuole...); 59,1-15; (2) dure denunce di pratiche idolatriche all'interno della comunità (57,3-13; 65,1-7.11-12; 66,3-4.17).
Mentre le promesse del Deutero-Isaia sono per lo più rivolte a tutta il popolo senza distinzione, vediamo in diversi testi del Trito-Isaia (soprattutto capp. 65–66 ma anche altrove) che c'è una netta differenziazione fra i fedeli del Signore (per loro ci sarà la salvezza) e i loro fratelli infedeli (per loro vengono annunziate dure castighe).
Questo contrasto fra il Deutero-Isaia e il Trito-Isaia si vede chiaramente nell'uso del tema "servo di YHWH". Abbiamo visto che molte volte nel Deutero-Isaia quel termine, usato nel singolare, indica tutto il popolo. Invece nel Trito-Isaia il termine si trova solo nel plurale ("i servi di YHWH") e indica, non tutto il popolo, ma solo i fedeli che poi sono anche oppressi dagli altri giudei loro fratelli (cf. 65,13-15; 66,14).
La conclusione s'impone. L'ambiente presupposto da molti testi in Is 56–66 non è quello della deportazione in Babilonia ma quello di una comunità in Giuda alle prese con le difficoltà della ricostruzione di una comunità che ormai non ha più un'autonomia politica ma deve svilupparsi come comunità guidata dai dettami della religione di YHWH (perciò l'insistenza nuova sull'osservazione del sabato, fra altro). Cioè, l'ambiente è quello di Giuda (Yehud) del periodo postesilico sotto dominio persiano.
Nel punto precedente abbiamo già visto vari aspetti tematici del Trito-Isaia; proseguiamo il discorso tematico qui (2.1), cercando però di sottolineare di più gli aspetti più teologici e anche di far notare le differenze teologiche fra i diversi capitoli all'interno del Trito-Isaia. Infine (2.2) vedremo una proposta di strutturazione dell'insieme degli undici capitoli.
Vediamo tre punti dove la varietà teologica all'interno di Is 56–66 si fa vedere chiaramente.
I capp. 60–62, al centro della collezione, comprendono tre oracoli di salvezza (60,1-22; 61,4-11; 62,1-12) con l'autopresentazione di un messaggero del Signore mandato ad annunziare la salvezza per Sion (61,1-3). C'è un'atmosfera attraente di luce e di gioia in questi testi, che hanno molti contatti (linguistici e tematici) con testi del Deutero-Isaia (anche se ci sono anche delle differenze).
Andando un po' avanti nel testo il lettore incontra il brano 63,7–64,11 dove la tonalità è del tutto diversa, non più gioia ed esultanza ma lamento e confessione di peccati. Il testo infatti è molto simile al genere salmico di "lamento (o supplica) della comunità", e inoltre ha molti contatti con la teologia della storia che troviamo nel libro (deuteronomistico) dei Giudici. I contatti con Deutero-Isaia sono assai pochi.
Le splendide promesse del Deutero-Isaia (e anche di Is 60–62) non si sono compiute in modo rapido ed evidente, invece le difficoltà nella vita della comunità in Yehud continuavano gravi e persistenti. I testi del Trito-Isaia ci mostrono tre diversi atteggiamenti di fronte a questo fatto.
(1) Alcuni nella comunità concludevano che le promesse erano illusorie; YHWH non voleva ascoltare le preghiere della comunità, anzi non poteva salvare il popolo (cf. 59,1 dove tale atteggiamento viene criticato). Questi scettici, concludendo che YHWH in pratica non si interessava più della vita della comunità, si sentivano liberi ad assicurare il proprio benessere con la propria forza e prepotenza (cf. 59,9-11, e tutti i testi che parlono di ingiustizie sociali all'interno della comunità) e si permettevano di prendere in giro i fedeli della comunità che ancora aspettavano da YHWH un miglioramento della loro situazione (cf. 66,5).
(2) Il testo di 59,1ss già menzionato spiega il ritardo delle promesse precisamente con il comportamento etico biasimevole di questi cattivi: "Ecco non è troppo corta la mano del Signore, da non poter salvare; né tanto duro è il suo orecchio, da non poter udire. Ma le vostre iniquità hanno scavato un abisso fra voi e il vostro Dio..." Il testo prosegue descrivendo in dettaglio i crimini sociali commessi dai cattivi. Implicita in questa diatriba (e in alcuni altri brani nei capp. 56-58 che insistono su tematiche etiche) è l'idea che, se il comportamento etico nella comunità fosse quello giusto, allora le promesse di YHWH si realizzerebbero. L'etica condiziona l'escatologia.
(3) Un terzo atteggiamento di fronte al ritardo nel compimento delle promesse si affaccia in vari brani dei capp. 65-66. Si tratta anche qui di un atteggiamento dei fedeli di YHWH, i suoi servi, in mezzo alla comunità, ma diversamente dal secondo atteggiamento qui non viene offerto una soluzione in termini di etica ma piuttosto di un'escatologia allontanata, proiettata quasi fuori della storia, che prelude in diversi tratti all'apocalittica (cf. i "nuovi cieli e nuova terra" di 65,17 e 66,22; poi l'idea di una definitiva vittoria dei fedeli di YHWH e una rovina definitiva per gli infedeli nella comunità e per ogni forza ostile straniera).
Alcuni testi nel Trito-Isaia sono di un'apertura veramente eccezionale nei riguardi degli estranei alla comunità: cf. 56,3-7 (ammissione al culto) e forse anche 66,21 (se si può interpretare il testo difficile nel senso di un'ammissione di stranieri al sacerdozio e all'ordine levitico).
Di fronte a questi testi però ce ne sono altri, che annunziano un tremendo giudizio contro altre nazioni (cf. 63,1-6; 66,14-16; 66,24).
La varietà delle tematiche e anche dei generi letterari presenti in Is 56–66, che abbiamo appena visto, non vuole dire però che questi capitoli siano una semplice giustapposizione di testi diversi. Secondo parecchi studiosi, al contrario, la forma finale dei capitoli evidenzia una strutturazione concentrica molto accurata che sottolinea l'unità composizionale degli undici capitoli [cf. anche lo schema]. Questa tesi, proposta inizialmente nel 1963 da Charpentier, è stata poi accolta da molti altri (in alcuni casi con qualche modifica). Vale la pena di considerarla, anche se bisogna sempre avere un'occhio critico di fronte a tali schemi che, soprattutto quando applicati a grandi blocchi di testo, corrono spesso il rischio di livellare i testi, notando solo le somiglianze e non le differenze fra i testi corrispondenti. In ogni caso l'esame dello schema senz'altro ci fa guardare più da vicino il testo biblico, il che è sempre una cosa positiva.
A | 56,1-8 | Condizioni per entrare nel popolo di Dio |
B | 56,9–58,14 | Due serie di rimproveri ai cattivi (56,9–57,13a; 58,1-5) e di promesse per i fedeli (57,13b-21; 58,6-14) |
C | 59,1-14 | Brani salmici (vv. 1-8; 9-11) e confessione dei peccati (vv. 12-14) |
D | 59,15-21 | La retribuzione ("vendetta") divina |
E | 60,1-22 | La nuova Gerusalemme, glorificata da YHWH |
F | 61,1-11 | L'annunzio di salvezza fatto dal messaggero unto da YHWH |
E′ | 62,1-12 | La nuova Gerusalemme, glorificata da YHWH |
D′ | 63,1-6 | La retribuzione ("vendetta") divina |
C′ | 63,7–64,11 | Brani salmici e confessione di peccati (64,4b-11) |
B′ | 65,1–66,17 | Rimproveri ai cattivi e promesse per i fedeli |
A′ | 66,18-24 | Condizioni per entrare nel popolo di Dio |
In fine, a conferma dell'esistenza di una vera composizione in Is 56–66, alcuni studiosi hanno notato una serie di motivi comuni all'inizio e alla fine del blocco (cioè, elementi di inclusione): (1) il motivo del sabato (56,2.4.6; 66,23); (2) il motivo del tempio con i termini "casa di Dio" e "il mio santo monte" (56,5.7; 66,20); (3) il motivo del "nome" per gli israeliti (56,5; 66,22); (4) stranieri associati con israeliti (56,6-8; 66,18-21).
Nel corso della discussione intorno alla formazione di Is 56–66 gli studiosi si lasciano dividere grosso modo in due grandi gruppi: (3.1) quelli che attribuiscono i capitoli (o la maggior parte di essi) ad un profeta anonimo, detto Trito-Isaia, e (3.2) quelli che al contrario pensano che sia più probabile pensare ad una pluralità di profeti e redattori che hanno gradualmente formato la collezione e curato la sua integrazione nel processo di formazione di tutto il libro di Isaia.
Questa prima tesi era la posizione di Duhm (1892), che per primo ha sostenuto dettagliatamente l'identità specifica dei capp. 56–66. Per Duhm il profeta Trito-Isaia visse e svolse il suo ministero a Gerusalemme nel 5º secolo poco prima dell'arrivo di Neemia (445 a.C.). Nelle parole del profeta si vedono gli influssi del Deutero-Isaia principalmente ma anche di Ezechiele.
Una variante importante di questa tesi è stata proposta da Elliger (1928, 1931, 1933), che (1) ha appoggiato la posizione di Duhm sull'unicità dell'autore con una serie nutrita di argomenti lessicali, sintattici e stilistici, ma (2) si è separato da Duhm quanto alla data dell'attività del profeta, che per Elliger doveva essere intorno all'anno 515 (anno di dedicazione del Secondo Tempio), in parte prima di quel evento, in parte dopo.
Nei decenni successivi molti studiosi hanno seguito la posizione di Elliger, così che rappresentava la tesi dominante per molto tempo.
Pochi anni dopo la prima edizione del commentario di Duhm uno studioso inglese, Cheyne, ha proposta una tesi dissidente (per la prima volta nel 1895): i materiali in Is 56–66 non rifletterebbero l'attività di un solo profeta ma invece di tutto un gruppo di autori profetici della stessa scuola. Le differenze interne quanto a tematica e teologia (cf. sopra) hanno suggerito questa soluzione, che è stata accettata con varianti da un certo numero di studiosi, anche tedeschi, dopo di Cheyne.
Una variante della tesi si può vedere nel commentario influente di Westermann (1966 e edizioni successivi), che allo stesso tempo prelude all'approccio di storia della redazione degli anni recenti. Per il Westermann bisogna pensare ad un profeta ("Trito-Isaia") attivo intorno al 530, i cui oracoli si trovano soprattutto nei capp. 60–62 (e anche nel 57,14-20; 65,16b-25; 66,6-16; e forse anche nel 58,1-12); come si vede, questi materiali non costituiscono la maggior parte delle collezione. Dopo questo strato originale gli altri materiali si sono raggruppati intorno al nucleo dei capp. 60–62 in tre stadi successivi nel tempo. Gli stadi si distinguono per ragioni teologiche: (1) testi che riflettono la differenziazione fra i buoni e i cattivi nella comunità, (2) testi che annunciano un giudizio contro le nazioni, volendo così "correggere" l'apertura verso gli altri popoli mostrata dal Trito-Isaia stesso, (3) testi all'inizio e alla fine della collezione che riprendono un'atteggiamento di apertura missionaria verso altri popoli e che insistono all'osservanza del sabato. Non entriamo in ulteriori dettagli qui, ma si vede che alla base del problema c'è l'esigenza di trovare una spiegazione per la varietà tematica e teologica che si osserva leggendo la forma finale del testo.
Mentre il Westermann e molti altri studiosi in tempi più recenti continuano a pensare all'esistenza di un profeta "Trito-Isaia" (anche se in forma attenuata), che sarebbe stato il punto di partenza di una serie di redazioni successive dovute ad altri, ci sono alcuni studiosi (per es. Steck e Vermeylen) che integrano i capp. 56–66 totalmente nel processo di formazione del libro e non ci vedono per niente il riflesso dell'attività orale di un profeta neanche per una parte del testo. Lo Steck, per esempio, proponeva che i capp. 60–62* già dall'inizio della loro esistenza sono stati concepiti come testi scritti da un autore profetico che voleva estendere ed attualizzare i capp. 40–55* (sarebbero un prolungamento, "Fortschreibung", del Deutero-Isaia, e non il riflesso di un'attività profetica orale). Tutti gli altri testi nei capp. 56–66, secondo lo Steck, sarebbero stati prodotti in tre successive redazioni i cui autori avevano di fronte a sé un testo scritto dove il Proto-Isaia (ancora in formazione) e il Deutero-Isaia erano già collegati. Cioè, la maggior parte dei testi nei capp. 56–66 sono stati dall'inizio parte di un grande libro di Isaia (anche se non ancora tutto il libro che conosciamo adesso).
Ci fermiamo a questo punto, anche perchè la discussione contemporanea continua intorno a queste diverse tesi. Ma si vede già come lo studio del capp. 56–66 sia di notevole importanza non solo per i capitoli in sé stessi ma anche per la comprensione di tutto il libro di Isaia.