Profezia e apocalittica: secondo semestre 2006-07
Charles Conroy [www.cjconroy.net/pr-it/pr00a.htm]



Vita dopo la morte: Dan 12,1-4 nel contesto di Dan 10–12



L'interesse particolare di Dan 12,1-4 sta nel fatto che si tratta del primo testo biblico che parla chiaramente di una risurrezione di alcuni individui (però ci sono testi più antichi nel libro extra-biblico 1 Enoch che parlano di un giudizio dopo la morte e di risurrezione). Le idee tradizionali del destino indifferenziato dei morti nello Sheol erano ancora correnti nei primi decenni del secondo sec. a.Cr., come si può vedere nel Siracide: "Negli inferi infatti chi loderà l'Altissimo / al posto di viventi e di quanti gli rendono lode? // Da un morto, che non è più, la riconoscenza si perde / chi è vivo e sano loda il Signore" (Sir 17,22-23 [in alcune versioni: vv. 26-27]). Cf. ancora Atti 23,6-10.

I punti principali della lezione sono:

  1. Il contesto del brano: la visione apocalittica di Dan 10–12
  2. Lettura di Dan 12,1-4

Ci sono due pagine di bibliografia per questa lezione: alcuni studi su Dan 10–12 e una scelta di titoli sul tema "risurrezione nell'AT".


1.   La visione apocalittica di Dan 10–12

Si tratta dell'unità apocalittica più lunga del libro di Daniele, dove il messaggio del libro arriva alla sua formulazione più forte. Nelle grandi linee si può parlare di una struttura in tre parti: prima (1.1) un prologo dove si racconta ("cornice narrativa") la preparazione per la comunicazione della rivelazione (10,1–11,1); poi (1.2) il contenuto della rivelazione del futuro (11,2–12,4); infine (1.3) un epilogo (12,5-13) dove c'è una discussione sulla durata del tempo prima della "fine".

1.1     Il prologo: la preparazione per la rivelazione (10,1–11,1)

1.1.1   La situazione della rivelazione (10,1)

La voce di un narratore si sente brevemente a 10,1 (cf. 7,1) e poi il testo passa alla voce di Daniele che racconta la visione in prima persona (10,2–12,13), come è normale nei testi apocalittici. La visione viene datata al "terzo anno di Ciro", cioè, del dominio di Ciro su Babilonia (dunque nel 536 a.Cr.), esattamente 70 anni dopo la deportazione di Daniele da Giuda nel terzo anno del re Ioiakim (606 a.Cr.): forse un modo di dire che si tratta della visione più "perfetta" e significativa.

Notiamo anche l'uso esplicito del verbo "rivelare" (גלה GLH) col sostantivo "parola" a 10,1; il sintagma, che non si trova nei Profeti posteriori, ha il suo parallelo più vicino a 1 Sam 3,7.

1.1.2   Daniele si prepara alla rivelazione (10,2-3.12)

I riti penitenziali (o secondo alcuni, riti di lutto) di cui parlano questi versetti costituiscono anche una supplica per la luce soprannaturale necessaria per capire una rivelazione divina: cf. 10,12 "... dal primo giorno in cui ti sei sforzato di intendere, umiliandoti davanti a Dio ...". Notiamo l'insistenza sul "capire, intendere" qui (בין BYN; il verbo si trova due volte in 10,1 e 12 volte nell'insieme di Dan 10–12).

1.1.3   L'epifania dell'angelo mediatore-interprete (10,4-6)

Anche se il v. 5 lo presenta come "uomo", è chiaro che si tratta di un angelo di alto rango (cf. la sua associazione con Michele nel 10,13). Non viene nominato, a differenza di Dan 8 e Dan 9 dove l'angelo mediatore è chiamato Gabriele. Alcuni commentatori pensano che si tratti di Gabriele anche qui nel cap. 10, mentre altri preferiscono lasciarlo anonimo. In ogni caso l'influsso di Ez 1 e 9-10 è chiaro nella descrizione dell'angelo di Dan 10,5-6 (che poi influirà sulla descrizione di Cristo glorificato in Apoc 1,13-16 e 2,18).

1.1.4   L'impatto dell'epifania su Daniele (10,7-19)

Solo Daniele vede la visione, e non i suoi compagni, che però si rendono conto della presenza di qualcosa di soprannaturale e fuggono (cf. Atti 9,7 e 22,9). L'importanza della visione viene sottolineata dal motivo di un triplice crollo fisico di Daniele (vv. 8-9.15.16b-17) e di un triplice intervento angelico per ridare forza a Daniele (vv. 10-11.16.18-19). Questo motivo della debolezza del ricevente umano è tipico di parecchi testi apocalittici (Dan 7,28; 8,17-18; 1 Enoch 14,13-14; Apoc 1,17: cf. già Ez 1,28 e 3,14-15).

1.1.5   Il motivo di guerre celesti (10,13.20-21; 11,1)

Diverse volte nella conversazione fra Daniele e l'angelo (prima della rivelazione propriamente detta) si menzionano guerre fra angeli, che sono gli angeli protettori di regni o popoli terrestri. Michele è l'angelo protettore di Israele ("il vostro principe" 10,21), e sta lottando prima contro "il principe [cioè l'angelo] di Persia" e poi contro "il principe della Grecia". Il significato di questo è di far capire ai lettori che Israele (in quel momento storico un popolo assoggettato e debolissimo) ha un grande protettore celeste capace di battere i protettori delle grandi potenze dominatrici come la Persia e la Grecia. Sapere questo è certamente un forte motivo di fiducia per i lettori ebrei.

1.2     Il contenuto della rivelazione del futuro (11,2–12,4)

La rivelazione è contenuta nel "libro della verità" (10,21); riguarda la situazione del popolo di Daniele "negli ultimi tempi" (10,14); viene manifestata adesso (11,2) dall'angelo. Tutto, cioè, è previsto; il Dio di Israele è il Signore incontestato della storia del mondo e degli imperi sino alla fine dei tempi. La rivelazione inizia (1.2.1) con una parte più sintetica, prosegue descrivendo più in dettaglio (1.2.2) il regno di Antioco IV, e arriva al suo culmine (1.2.3) nell'annuncio degli avvenimenti trascendentali della fine dei tempi.

1.2.1   Dall'epoca del dominio persiano fino al re Seleuco IV (187-175) (11,2-20)

Un breve accenno agli ultimi re persiani (v.2) e ad Alessandro Magno (vv.3-4) apre questa sezione, che si interessa principalmente delle guerre fra i re ellenistici "del sud" (i Tolemei di Egitto) e quelli "del nord" (i Seleucidi della Siria e dei territori vicini) durante il terzo sec. a.Cr. Questi re non vengono nominati ma, per chi conosce la storia del terzo sec. a.Cr. da altre fonti, la descrizione degli avvenimenti basta per identificare i personaggi e le vicende nei vari versetti. Il personaggio più importante qui è Antioco III Magno (r. 223-187), le cui vicende sono presentate nei vv.10-19. Quasi tutto ciò che si dice qui è d'accordo con ciò che si sa della storia del tempo da fonti extra-bibliche. Notiamo in particolare il v.14 dove si parla di un coinvolgimento di una fazione violenta degli ebrei nella lotta fra Tolemei e Seleucidi; la divisione interna della comunità è chiara (l'autore di v.14 non approva le azioni violente di questo gruppo), anche se i commentatori non sono d'accordo sull'identità precisa del gruppo in questione (pro-Tolemei o pro-Seleucidi).

1.2.2   Il re Antioco IV Epifane (175-164) (11,21-45)

La presentazione di questo re nei vv.21ss è formulata (come vv.2-20) in termini leggermente vaghi (però chiari per chi già conosce la storia di quei tempi) e costituisce indubbiamente l'interesse storico principale dell'autore. Anticipiamo una conclusione importante: gli avvenimenti descritti nei vv.21-39 (1.2.2.1) corrispondono a ciò che si sa della storia di quegli anni da altre fonti bibliche e extra-bibliche, mentre non è così per ciò che viene detto nei vv.40-45 (1.2.2.2). Notiamo alcuni dettagli della presentazione.

1.2.2.1     Gli avvenimenti fino alla persecuzione dell'anno 167 (vv. 21-39)

Dopo un accenno decisamente ostile all'accessione al trono e ai primi anni del regno di Antioco (vv.21-24), vengono presentate le sue campagne militari contro i Tolemei di Egitto (vv.25-30a) che finirono bruscamente a causa di un ultimatum dei Romani (i "Kittim" del v.30) che imponevano la ritirata ad Antioco. Poi nei vv.30b-35 viene descritta la persecuzione ordinata dal re umiliato contro la comunità giudaica. Si menziona in particolare la profanazione del Tempio di Gerusalemme, dove il re ordinò la costruzione di un altare pagano sopra l'altare degli olocausti (probabile interpretazione del "abominio della desolazione" del v. 31).

A diverse riprese il testo nota le divisioni all'interno della comunità giudaica. Da una parte ci sono "coloro che avranno abbandonato la santa alleanza" (v.30 e similmente v.32), cioè il gruppo di ebrei ellenizzanti radicali; dall'altra parte c'è "il popolo di quanti riconoscono il proprio Dio" (v.32), che si oppongono alle azioni del re. Di quest'ultimo gruppo il testo insiste su un componente particolare, "i più saggi tra il popolo" (v.33: CEI), che cercano di far capire al resto del popolo la loro situazione; alcuni di questi saggi cadono vittime della persecuzione (vv.33-35). C'è un'espressione curiosa nel v.34 dove si dice che i saggi nelle loro difficoltà riceveranno "un po' di aiuto" da altri non meglio specificati; di solito viene interpretata come un riferimento (non molto entusiasta) alla resistenza armata portata avanti dai Maccabei. Sembra che i "saggi" (e con essi l'autore del testo, che forse era uno di loro) preferivano la resistenza passiva.

Poi i vv.36-39 tornano alla descrizione del re Antioco, la sua auto-esaltazione e le sue bestemmie contro "il Dio degli dèi". Con insistenza però il testo sottolinea diverse volte che il re "avrà successo finchè non sarà colma l'ira: poichè ciò che è stato determinato si compirà" (v.36). I "tempi" della storia sono completamente sotto il controllo di Dio (cf. anche i vv.24, 27, 29, 33, 35). Così i fedeli che nel presente soffrono la persecuzione possono avere la certezza che il persecutore fallirà nel suo tentativo di cancellare la comunità dei fedeli del Dio di Israele. Per questo vengono incoraggiati a perseverare nella fedeltà e a sperare in Dio nonostante tutto.

1.2.2.2     Il "tempo della fine" per Antioco (11,40-45)

Il testo annuncia "il tempo della fine" (v.40). Ci sarà una grande battaglia fra il re d'Egitto e Antioco; quest'ultimo vincerà nell'Egitto e nella Palestina ma notizie preoccupanti lo costringeranno a ritornare verso il nord. Mentre è ancora accampato nella Palestina, "fra il mare e il bel monte santo [il riferimento è al monte del Tempio] poi giungerà alla fine e nessuno verrà in suo aiuto" (v.45). Sembra proprio che il v.45 annunci che Antioco morirà in Palestina. Questo annuncio, a differenza dei vv.21-39, non corrisponde a ciò che conosciamo della morte di Antioco, sia da fonti bibliche (1 Mac 6,1-6; 2 Mac 1,14-16; 9,1-29) che da fonti extra-bibliche (cf. i commentari). Queste fonti, nonostante alcune divergenze nei dettagli, sono d'accordo nel dire che Antioco morì nella Persia verso la fine dell'anno 164 dove si era recato per saccheggiare un tempio.

Parecchi commentatori concludono che la composizione di Dan 10-12 (e anche della forma finale di Dan 1-12 come tutto) è da situarsi dopo l'inizio della persecuzione di Antioco nel 167 (descrizione esatta) ma prima della sua morte nel 164 (descrizione non più esatta).

1.2.3   Gli avvenimenti trascendentali del "tempo della fine" (12,1-4)

La rivelazione raggiunge il suo culmine in questi versetti, dove gli aspetti trascendentali sono al centro, in particolare la questione di una risurrezione dai morti per alcuni almeno. Un commento più dettagliata verrà offerto sotto.

1.3     L'epilogo del racconto (12,5-13)

In questi versetti si ritorna alla cornice narrativa (cf. 10,1–11,1). Daniele assiste ad una discussione fra personaggi anonimi (angeli evidentemente) riguardante il calcolo del tempo della fine. Nell'ultimo versetto Daniele riceve la promessa confortante di una risurrezione personale: "Tu, va' pure alla tua fine e riposa: ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni" (12,13).

2.   Lettura più dettagliata di Dan 12,1-4

Versione CEI (prima edizione)

[1a] Or in quel tempo sorgerà Michele, il gran principe,
[1b] che vigila sui figli del tuo popolo.
[1c] Vi sarà un tempo di angoscia,
[1d] come non c’era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo;
[1e] in quel tempo sarà salvato il tuo popolo,
[1f] chiunque si troverà scritto nel libro.
[2a] Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno:
[2b] gli uni alla vita eterna
[2c] e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.
[3a] I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento;
[3b] coloro che avranno indotto molti alla giustizia
[3c] risplenderanno come le stelle per sempre.
[4a] Ora tu, Daniele, chiudi queste parole
[4b] e sigilla questo libro,
[4c] fino al tempo della fine:
[4d] allora molti lo scorreranno
[4e] e la loro conoscenza sarà accresciuta».

12,1

"In quel tempo ..." (1a): cioè il tempo della morte del re persecutore (11,40-45) fa parte del dramma escatologico, "il tempo della fine" (11,40; 12,4). Ci sarà grande tribolazione ma poi verrà la salvezza dei fideli del popolo di Daniele. Notiamo come il termine "tempo" ricorre quattro volte nel 12,1.

Secondo la presentazione del testo dunque la morte del re Antioco coincide con l'inizio degli ultimi eventi. Cronologicamente non era così di fatto. Dove sta la verità di questo testo? Il valore di verità in questo testo, e in testi escatologici simili altrove nella Bibbia, non sta nella precisione cronologica delle predizioni del futuro ma piuttosto nella convinzione religiosa che il male non trionferà in ultima analisi e che i fedeli di Dio verranno certamente premiati per le loro sofferenze.

Michele, già menzionato come angelo protettore di Israele in Dan 10,13-21, ritorna qui con una funzione particolare: "che vigila sui figli del tuo popolo" (1b CEI: letteralmente "che sta sopra ..."). L'espressione ebraica potrebbe avere una connotazione giudiziale: "stare come in tribunale per difendere qualcuno o per eseguire la sentenza della corte". Effettivamente i versetti seguenti 12,2-3 implicano il grande giudizio escatologico. Si può paragonare anche la scena giudiziale della visione apocalittica di Dan 7.

Nel "tempo di angoscia" (1c), che fa parte del motivo tipicamente apocalittico delle tremende tribolazioni degli ultimi tempi (cf. Marco 13,19.24 par.), ci sarà un esito favorevole per il popolo di Daniele (1e); non indistintamente per tutti gli ebrei però, ma per chiunque di loro "si troverà scritto nel libro" (1f). Notiamo qui una doppia restrizione: il testo si interessa del popolo di Daniele, non di altri popoli, e afferma la salvezza soltanto per quegli ebrei i cui nomi si troveranno nel libro – presumibilmente il "libro della vita" (per il concetto cf. per es. Esod 32,32-33; Is 4,3; 65,6; Sal 69,29), qui con un senso escatologico nuovo grazie al contesto.

La salvezza annunciata nel v.1e-f sembra che riguardi gli ebrei che saranno in vita negli ultimi tempi. Ma quale sarà la situazione degli ebrei fideli che saranno già morti prima? Saranno esclusi da questa salvezza? A questa domanda risponde il v.2.

12,2

La maggior parte degli studiosi sostiene che Dan 12,2 sia l'unico testo nella Bibbia ebraica che parli chiaramente di una risurrezione dai morti per alcune persone almeno. Il linguaggio del versetto ha contatti importanti con Is 26,19 – un testo filologicamente molto difficile che nella versione CEI suona così: "Ma di nuovo vivranno i tuoi morti, / risorgeranno i loro cadaveri. / Si sveglieranno ed esulteranno / quelli che giacciono nella polvere..." Notiamo qui in particolare il verbo "svegliarsi" e il sostantivo "polvere", che si ritrovano in Dan 12,2. Mentre Is 26,19 viene per lo più interpretato come un'espressione metaforica per la restaurazione nazionale del popolo (come Ez 37,1-14 nel suo strato più antico almeno), Dan 12,2 si serve del linguaggio del testo profetico per comunicare una nuova speranza, cioè, la risurrezione dai morti per certi individui. Però accanto ad elementi chiari il versetto contiene diverse difficoltà interpretative.

Ciò che è chiaro lo troviamo nel v.2a. La metafora "dormire" per "essere morto" è comune nella Bibbia (per es. Ger 51,39.57; Sal 13,4; Giobbe 3,13) e nelle culture intorno a Israele (dove è particolarmente frequente in testi greci dell'epoca ellenistica). L'espressione "nella terra di polvere" (CEI inverte i termini nella versione "nel polvere della terra") si riferisce allo Sheol, il mondo dei morti nell'antropologia semitica (c'è un sintagma accadico "casa di polvere" per indicare appunto il mondo dei morti). E il verbo "svegliare" si trova nel senso di un "tornare alla vita dalla morte" in 2 Re 4,31 e Is 26,19 (già menzionato). Dunque il v.2a annuncia una vita nuova per persone già morte. Ma chi sono precisamente? A questo punto entriamo nelle difficoltà interpretative del versetto [cf. testo del versetto in trascrizione].

Prima c'è il sintagma "molti dei dormienti...". Il termine "molti" in alcuni testi biblici può avere un senso inclusivo, indicando cioè una grande moltitudine senza connotare l'esclusione di alcuno: così per esempio in Marco 14,24 ("questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per molti"). Alcuni pochi esegeti hanno proposto questo senso inclusivo anche per Dan 12,2, dove allora "molti" significherebbe o "tutti i morti" o almeno "tutti gli Israeliti morti". Però ci sono due argomenti pesanti contro questa interpretazione nel caso presente. (1) In Dan 12,2 il termine "molti" è seguito da una preposizione min, che in espressioni di questo genere normalmente ha un senso partitivo (indicando dunque una parte di una totalità), per cui i "molti" sono solo una parte e gli altri della totalità non sono compresi nel verbo "si sveglieranno". (2) Altrove in Dan tutte le ricorrenze del termine "molti" si riferiscono a gruppi particolari e non a tutto il popolo (si tratta di dodici testi tutti nei capp. 8-12, tre dei quali in 12,1-4). Si capisce allora perchè una larga maggioranza di commentatori sostiene che v.2a annunci un ritorno alla vita per alcuni ma non per tutti, una risurrezione limitata, non una risurrezione generale.

Poi ci sono le due "destinazioni" (2b-c): "la vita eterna" (2b: il solo testo nella Bibbia ebraica con questo sintagma) e "la vergogna e l'infamia eterna" (2c: dove il termine "infamia" ricorre altrove solo in Is 66,24). Chi sono quelli che andranno all'una e all'altra di queste destinazioni? E nei due casi si tratta di una risurrezione? Gli studiosi si dividono di fronte a queste domande. Sinteticamente distinguiamo due tipi di interpretazione.

Tipo A (quello più comune): Molti si sveglieranno (= risorgeranno). Di questi, alcuni risorgeranno alla vita eterna (nel contesto, gli ebrei fedeli che sono morti nella persecuzione di Antioco), mentre altri risorgeranno ad un castigo esemplare (gli ebrei apostati nella persecuzione, e forse anche i persecutori pagani). Il testo non si preoccupa direttamente di altre persone dei tempi precedenti o successivi; non esclude una risurrezione per loro ma non l'afferma neanche.

Tipo B (minoritario ma difeso anche da studiosi recenti e contemporanei come Alfrink e altri): Molti si sveglieranno (= risorgeranno) e si sveglieranno alla vita eterna (gli ebrei fedeli morti nella persecuzione). Gli altri, che non risorgeranno, rimarranno nella vergogna e infamia dello Sheol (gli ebrei apostati). Secondo questa linea di interpretazione, dunque, "quelli" e "quelli" del v.2b-c non sono due sottocategorie di risuscitati ma indicano "i risuscitati" e "i non-risuscitati"; in altre parole il versetto annuncia solo una risurrezione dei giusti (cf. 1 Enoch 7; 2 Mac 7,7-23; 12,38-46; 14,45-46).

Il Tipo A è preferito dalla maggioranza soprattutto per la difficoltà filologica di spiegare la coppia di termini "quelli" ... "e quelli" nel senso dell'interpretazione di Tipo B.

12,3

Nell'annuncio della risurrezione uno splendore particolare è annunciato per "i saggi ... coloro che avranno indotto molti alla giustizia". Questa categoria di persone è stata già menzionata in Dan 11,33.35 dove si dice anche che alcuni di essi hanno subito il martirio. Qui notiamo in particolare un contatto molto interessante fra Dan 12,3 e Is 52,13–53,12 (il "Quarto Canto" del servo): il sintagma "rendere giusto, indurre alla giustizia" [ṢDQ Hif] più il termine "molti" come complemento oggetto si trova in Is 53,11 ("il giusto mio servo giustificherà molti") e Dan 12,3 ("i saggi ... che avranno indotto molti alla giustizia"), e in nessun altro testo della Bibbia ebraica. Sembra proprio che Dan 12,3 voglia attribuire ai saggi del tempo di Antioco il ruolo del servo sofferente di Is 53; forse l'interpretazione-applicazione più antica della figura del servo sofferente.

12,4

Qui finisce la rivelazione del futuro (11,2–12,4). Notiamo solo dalla prima parte del versetto il motivo di segretezza (4a-b: parole chiuse e libro sigillato). Si ritorna al "Daniele del testo", e dunque al sesto sec. a.Cr. La rivelazione fatta in quel tempo deve essere mantenuta segreta "fino al tempo della fine" (4c), cioè, al tempo intorno alla persecuzione di Antioco nel secondo sec. a.Cr., il tempo dei primi lettori reali. Questo motivo di segretezza è un'esigenza del procedimento di pseudonimia, che è tipico di molte opere apocalittiche e anche del libro di Daniele. Tralasciamo qui l'ultima parte del versetto (4d-e) a causa delle difficoltà filologiche notevoli del testo ebraico.


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