In questa lezione vedremo lo sfondo storico soprattutto per i grandi
profeti dell'esilio, Ezechiele e Secondo Isaia. Secondo parecchi studiosi anche Abdia sarebbe da situare in questo periodo.
I punti principali sono:
La bibliografia specifica della lezione si trova qui; ma ci sono anche parecchi titoli pertinenti nella bibliografia della terza lezione qui. Per la tavola cronologica della lezione, poi, cliccare qui.
Non c'è molto da ricavare dai testi biblici, a parte qualche allusione alle condizioni dei deportati nel libro di Ezechiele e la breve nota di 2 Re 25,27-30 (cf. anche Ger 52). Le condizioni in Giuda si fanno intravvedere in diversi passi del libro delle Lamentazioni.
Per i testi extra-biblici cf. ANET 305-307 (Nabonide e Ciro), 308 (provviste per Ioiachin), 312-316 (Ciro) e 560-563 (Nabonide). Cf. anche Briend 145-146 (provviste per Ioiachin) e 147-152 (Nabonide e la caduta della Babilonia); COS 2.123A-B:310-314 (Nabonide) e 2.124:314-316 (Ciro); TUAT 1:406-410 (Nabonide e Ciro) e 412-413 (provviste per Ioiachin). Cf. le abbreviazioni e la bibliografia.
L'archeologia contribuisce parecchi dati utili per conoscere le condizioni materiali di vita in Giuda in questo periodo (cf. le sintesi di Mazar e di Stern, già menzionate).
Come nelle presentazioni precedenti, inizieremo (2.1) con uno sguardo alla situazione internazionale e poi (2.2) vedremo le condizioni del popolo di Giuda sovravvissuto alla catastrofe del 587/586.
Nella prima parte del sesto secolo l'impero neo-babilonese raggiunse l'apice della sua potenza ma poi crollò rapidamente di fronte alla nuova potenza, i Persiani. Come nel periodo precedente, quando l'egemonia passò dagli Assiri ai Babilonesi, così anche adesso questi cambiamenti nello scenario internazionale avevano un'enorme influsso sulle condizioni del popolo di Giuda, che assisteva passivamente agli avvenimenti.
La prosperità dei Babilonesi continuò per tutto il regno di Nebuchadrezzar (Nabuchodonosor). Dopo la sua morte nel 562, però, c'era un periodo di conflitti interni, con quattro re in solo sette anni. Il quarto di questi re era Nabonide (r. 555–539), l'ultimo re di Babilonia. A causa della sua predilezione per il dio Sin, dio della luna, il cui culto principale era nella città di Haran (Caran) nel nord, il re entrò in conflitto con i potentissimi sacerdoti del dio Marduk che controllavano il culto nella città capitale di Babilonia e rappresentavano anche una vera potenza economica nel paese. Per dieci anni (dal 549 al 539) il re non abitava nella capitale che affidò al principe ereditario Belshazzar (Baldassar), ma si stabilì in Arabia. Alcuni storici pensano che ciò poteva avere anche delle ragioni strategiche, cioè, per costruire una linea di difesa in profondità contro eventuali invasori.
La minaccia infatti veniva dal est, nella persona di Ciro re dei Persiani (della dinastia degli Achemenidi). Ciro, dal ca. 550 diventato re anche dei Medi, iniziò una serie di campagne militari per conquistare i territori intorno alla Babilonia. Sconfisse il re Creso di Lidia (in Asia minore) nel 546, e dopo alcuni anni il suo esercito entrò nella Babilonia dal nord. Vittorioso nella battaglia di Opis, Ciro avanzò sulla città capitale, che si arrese senza ulteriori combattimenti. I sacerdoti di Marduk salutarono Ciro come il loro liberatore dai misfatti di Nabonide. Così finì l'impero neo-babilonese, l'ultimo impero semita del antico Vicino Oriente.
Tornando indietro adesso alla caduta di Gerusalemme, vedremo prima le condizioni di vita dei sopravvissuti rimasti in Giuda (2.2.1), e poi dei deportati in Babilonia (2.2.2). C'erano anche dei profughi giudei nell'Egitto, ma si sa molto poco di loro nel sesto secolo, e perciò non verranno considerati qui.
2.2.1.1 Condizioni materiali
È importante rendersi conto che la maggioranza della popolazione è rimasta in Giuda dopo la caduta del regno (vedremo qualche dato statistico fra poco). Inoltre, i Babilonesi non facevano arrivare dei coloni per prendere il posto dei deportati (come invece avevano fatto gli Assiri nel regno del nord dopo il 721).
Però non si può in nessun modo minimizzare la destruzione causata dalla guerra. Le ricerche archeologiche hanno mostrato che quasi tutte le città di Giuda hanno sofferto notevoli destruzioni in quegli anni, e si può facilmente immaginare gli enormi danni alla vita agricola anche. I vicini meridionali di Giuda, gli Edomiti, approfittavano della situazione per prendersi parte del territorio di Giuda nel sud.
I Babilonesi attuavano una politica di ridistribuzione delle terre dei deportati a beneficio dei meno abbienti in Giuda (cf. Ger 39,10 e anche 2 Re 25,12 con il parallelo Ger 52,16), con lo scopo evidente di guadagnarsi la lealtà della gente.
Come governatore di Giuda i Babilonesi nominarono un Giudeo, di nome Godolia (Gedaliah), membro della famiglia influente di Safan o Shaphan (cf. 2 Re 25,22-26; Ger 40,7–41,18), il quale stabilì la sua residenza nella cittadina di Mispa (ca. 12 km al nord della devastata Gerusalemme). Probabilmente il suo superiore immediato era il governatore babilonese di Samaria. Godolia iniziò un programma di ricostruzione, invitando i suoi concittadini a tornare al lavoro e a ripopolare le città. Però fu assassinato da un gruppo di Giudei ultra-nazionalisti sotto il comando di un membro della casa di Davide di nome Ismaele (cf. la drammatica presentazione di Ger 40-41), che poi fuggirono in Egitto.
2.2.1.2 Situazione religiosa
Secondo Ger 41,4-5 una certa attività cultica continuava fra le rovine del tempio a Gerusalemme; forse si potrebbe situare alcuni poemi del libro delle Lamentazioni in tale contesto. Chiaramente era un tempo di grande crisi per il yahwismo. Un modo di venir incontro ai dubbi era di presentare una giustificazione teologica della catastrofe, e molti studiosi pensano che la storiografia deuteronomistica è stata rielaborato (o, secondo altri, composto per la prima volta) in Giuda in quegli anni tenebrosi. Probabilmente c'era anche una rielaborazione di collezioni profetiche (in primo luogo, di Geremia) da parte dello stesso gruppo di teologi.
2.2.2.1 Condizioni materiali
La prima questione qui riguarda il numero dei deportati. Mentre 2 Re 24,14-16 offre delle cifre solo per la prima deportazione del 597, abbiamo in Ger 52,28-30 delle statistiche che per la loro precisione sembrano attendibili (forse vengono da qualche documento di archivio). In ogni caso, secondo questo testo c'erano 3023 deportati nel 597, poi 832 altri nel 586, e finalmente altri 745 in una terza deportazione del 582 (di cui si ignora la causa, forse un tentativo di ribellione in Giuda); in tutto 4600 deportati. Se supponiamo che questi erano capifamiglia, allora potremo molteplicare la cifra per quattro o cinque per comprendere anche i familiari immediati, e così si arriva ad una cifra di 20.000 o 25.000 persone. In termini numerici, una minoranza della popolazione di Giuda, ma in termini sociali i deportati erano la parte più importante del regno (nobili, grandi proprietari, ufficiali e funzionari della corte, sacerdoti e scribi, artigiani specializzati in lavori di metallo e di legno [cioè, capaci di fabbricare armi di guerra]).
In secondo luogo, bisogna notare che i Babilonesi, a differenza degli Assiri nell'ottavo secolo, raggruppavano i giudei deportati facendoli abitare insieme in villaggi al sud di Babilonia. Avevano lì una certa libertà nel gestire le proprie vicende sotto la guida degli "anziani del popolo" (cf. Ezech 8,1; 14,1; 20,1-3). Da Ger 29 si sa che i deportati della prima deportazione potevano comprare terreni in Babilonia e costruirvi case, e che potevano anche comunicare con la lontana patria tramite lettere portate da messaggeri.
Fra i deportati c'era il giovane re Ioiachin, figlio di Ioiakim, che è stato deportato nel 597 dopo un regno di pochi mesi. Per i deportati Ioiachin era e rimaneva il vero re (e non Sedecia, installato dai Babilonesi), e si vede che nel libro di Ezechiele (profeta in Babilonia) gli anni sono calculati secondo il regno di Ioiachin. Certi testi babilonesi menzionano delle provviste date a Ioiachin (cf. sopra sulle "Fonti"), e ciò sembra indicare che Ioiachin è stato trattato con un certo riguardo dai Babilonesi, forse una sorta di arresto domiciliare. Nel 561 è stato liberato del tutto (cf. 2 Re 25,27-30), anche se con obbligo di residenza nella Babilonia.
Tutto sommato, le condizioni materiali di vita dei deportati non erano di estrema durezza, ma comunque era un grande cambiamento dalla loro condizione di prima come le classi privilegiate del regno di Giuda.
2.2.2.2 Situazione religiosa dei deportati
Una crisi profonda: come credere nella signoria di YHWH se il suo tempio è stato profanato e distrutto, il suo re davidico trascinato in cattività, la sua terra promessa sotto dominio babilonese? I profeti esilici (Ezechiele e Secondo Isaia) accennano varie volte (come vedremo più tardi) al fatto che parecchi deportati avevano abbandonato la loro fede in YHWH. E anche per quelli rimasti fedeli le sofferenze dovevano essere forti; basti rileggere il salmo 137 ("Sui fiumi di Babilonia là sedevamo piangendo...").
Per alcuni deportati c'era anche la tentazione di ricorrere alla magia e alla divinazione per poter conoscere e controllare un futuro incerto (come risulta dalle polemiche profetiche contro tali pratiche: Is 47; Ezech 13).
Molti storici sono dell'avviso che era proprio durante l'esilio in Babilonia che pratiche come la circoncisione, l'osservanza del sabato, e le leggi sui cibi mondi e immondi (che pure esistevano in qualche misura prima dell'esilio) diventarono segni distintivi dei giudei per poter conservare la loro identità religiosa e etnica in mezzo ad una cultura straniera e dominante.
Più incerto, però, è il suggerimento di alcuni pochi studiosi che l'istituzione della sinagoga come luogo di preghiera, di studio religioso, e di aiuto comunitario avrebbe avuto i suoi esordi nell'esilio. Infatti, le testimonianze archeologiche ci orientano ad una data due o tre secoli più tardi.
La crisi esilica era anche una crisi per la profezia in Israele. Molti profeti infatti, a differenza di Geremia, hanno appoggiato la rivolta contro Babilonia, e le conseguenze funeste di questo hanno gettato discredito sui profeti in generale. Da questo tempo troviamo sempre di più una polemica contro falsi profeti e una ricerca di segni per riconoscere l'autenticità di un profeta vero. Fra questi ultimi notiamo i seguenti personaggi nel periodo esilico.
Il lungo ministero di Geremia, già visto nella lezione precedente, continuò per alcuni anni dopo il 586, inizialmente in Giuda, e poi nell'Egitto dove è stato portato da un gruppo di profughi giudei dopo l'assassinio del governatore Godolia (cf. Ger 42-45). Sembra che il profeta sia morto lì nella "terra di schiavitù".
I testi più antichi nel piccolissimo libro di Abdia (un solo capitolo con 21 vv.) vengono spesso collegato con un profeta che proclamava il suo messaggio in Giuda nei primi decenni dopo il 586. Un tema importante del libro infatti è la dura critica di Edom, il popolo che aveva approfittato dei disastri di Giuda per prendersi una parte del territorio di Giuda.
Una presentazione più ampia seguirà più avanti nel corso. Qui basterà un'ambientazione rapida. Ezechiele, di famiglia sacerdotale e profondamente istruito nelle tradizioni del tempio, era fra i deportati della prima deportazione del 597. Ricevette la sua chiamata profetica in Babilonia quattro anni dopo (593/592) e lì svolse il suo ministero per almeno venti anni. Il suo messaggio aveva due facce contrastanti. Prima della caduta definitiva del regno del sud nel 587/586 Ezechiele insisteva sul disastro imminente e polemizzava con i profeti "ottimistici" in Giuda e anche fra i deportati che annunciavano che la svolta per un buon futuro era alle porte. Dopo la caduta della città il suo messaggio cambiò, diventando un'esortazione di incoraggiamento e di speranza per i deportati in crisi.
Il nome "Secondo Isaia" o "Deutero-Isaia" dato ai capitoli 40–55 del libro di Isaia, indica anche il profeta anonimo responsabile per la parte iniziale almeno di questi capitoli, che verranno presentati più dettagliatamente dopo. Per adesso notiamo che i riferimenti espliciti al re persiano Ciro (Is 44,28; 45,1) insieme con la tonalità di entusiasmo e di gioia che pervade molti testi di quei capitoli suggeriscono di datare questi brani dopo il 550 (quando Ciro iniziò le sue campagne di conquista). A livello biografico si sa poco o niente del profeta stesso, a meno che non si voglia associarlo in qualche maniera alla figura del servo sofferente, come pensano alcuni studiosi (ritorneremo su questo punto più avanti).