Profezia e apocalittica: secondo semestre 2006-07
Charles Conroy [www.cjconroy.net/pr-it/pr00a.htm]



Isaia 6: visione e missione



La presentazione di questo testo molto conosciuto ci occuperà eccezionalmente per due lezioni (che non basteranno certamente a vedere tutte le questioni che si potrebbero porre), e la sintesi che segue vale per ambedue le lezioni. La maggior parte del tempo sarà dedicata ad una lettura letteraria e teologica della forma finale del testo. Alla fine vedremo brevemente alcune questioni che si pongono nella fase di studio diacronico. I punti principali sono:

  1. Lettura della forma finale del testo
  2. Studio diacronico

La bibliografia della lezione si trova qui.


1.   Forma finale del testo

Dividiamo la presentazione in quattro punti: (1.1) delimitazione e strutturazione del brano; (1.2) determinazione del suo contesto letterario immediato; (1.3) una lettura commentata; (1.4) il problema del genere letterario.

Il testo nella traduzione CEI (prima edizione)

[6,1a] Nell'anno in cui morì il re Ozia,
[6,1b] io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato;
[6,1c] i lembi del suo manto riempivano il tempio.
[6,2a] Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali;
[6,2b] con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava.
[6,3a] Proclamavano l'uno all'altro:
[6,3b] «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti.
[6,3c] Tutta la terra è piena della sua gloria».
[6,4a] Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava,
[6,4b] mentre il tempio si riempiva di fumo.
[6,5a] E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono
[6,5b] e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito;
[6,5c] eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti».
[6,6a] Allora uno dei serafini volò verso di me;
[6,6b] teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall'altare.
[6,7a] Egli mi toccò la bocca e mi disse:
[6,7b] «Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
[6,7c] perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato».
   
[6,8a] Poi io udii la voce del Signore che diceva:
[6,8b] «Chi manderò e chi andrà per noi?».
[6,8c] E io risposi: «Eccomi, manda me!».
[6,9a] Egli disse: «Và e riferisci a questo popolo:
[6,9b] Ascoltate pure, ma senza comprendere,
[6,9c] osservate pure, ma senza conoscere.
[6,10a] Rendi insensibile il cuore di questo popolo,
[6,10b] fallo duro d'orecchio
[6,10c] e acceca i suoi occhi
[6,10d] e non veda con gli occhi
[6,10e] né oda con gli orecchi
[6,10f] né comprenda con il cuore
[6,10g] né si converta in modo da esser guarito».
[6,11a] Io dissi: «Fino a quando, Signore?».
[6,11b] Egli rispose: «Finché non siano devastate le città, senza abitanti,
[6,11c] le case senza uomini, e la campagna resti deserta e desolata».
[6,12a] Il Signore scaccerà la gente
[6,12b] e grande sarà l'abbandono nel paese.
[6,13a] Ne rimarrà una decima parte,
[6,13b] ma di nuovo sarà preda della distruzione
[6,13c] come una quercia e come un terebinto,
[6,13d] di cui alla caduta resta il ceppo.
[6,13e] Progenie santa sarà il suo ceppo.

1.1    Delimitazione e strutturazione

Come nel caso di Is 5,1-7, anche qui per il cap. 6 la delimitazione del brano non crea nessun problema (formule iniziali nel 6,1 e grande differenza di tema con gli ultimi versetti del cap. 5, da una parte, e il fatto evidente che 7,1 segnala l'inizio di un altro racconto, dall'altra). Perciò possiamo passare subito ad una considerazione della struttura del cap. 6.

Due verbi di percezione in prima persona (v. 1b "io vidi", e v. 8a "io udii") sembrano suggerire la divisione primaria del capitolo in due parti: vv. 1-7 (visione del Signore tre volte santo) e 8-13 (parole udite sulla missione di Isaia).

Le due parti poi si possono suddividere secondo uno schema comune composto da tre elementi: descrizione / reazione di Isaia / risposta divina alla sua reazione.

In forma schematica dunque la proposta di strutturazione è come segue:

  1. Lo scenario della visione e gli avvenimenti iniziali nella visione (vv. 1-7)

    1. Descrizione della visione (vv. 1-4)

    2. Reazione di Isaia (v. 5)

    3. Risposta dal mondo divino, cioè le azioni e le parole di uno dei Serafini (vv. 6-7)

  2. Le parole di YHWH sulla missione di Isaia e le risposte del profeta (vv. 8-13)

    1. Descrizione della missione (vv. 8-10)

    2. Reazione di Isaia (v. 11a)

    3. Risposta di YHWH (vv. 11b-13)

Volendo spingere avanti l'analisi, si potrebbe notare la tendenza di articolare le piccole unità (per esempio, vv. 1-4 oppure 8-10) anche in tre parti.

1.2    Determinazione del contesto immediato

Una serie di osservazioni porta alla conclusione che l'unità maggiore alla quale appartiene Is 6 è 6,1–9,6, perchè questo blocco si trova circondato da testi che hanno stretti rapporti fra loro (5,1-7 + 5,8-30 da una parte, e 9,7–10,4 dall'altra parte) cosicchè 6,1–9,6 resti come isolato in mezzo a questi testi.

[N.B.  Si noterà che qui (e sempre altrove nel corso) si usa la numerazione dei versetti come nelle edizioni del testo ebraico. Qualche volta certe traduzioni moderne hanno una numerazione diversa (è il caso per i primi versetti del cap. 9 qui); normalmente le differenze vengono menzionate nelle note della traduzione in questione.]

Abbiamo già visto come il canto della vigna (5,1-7) funge come introduzione ad una serie di brani di critica sociale nel 5,8ss. Aggiungiamo adesso che questi oracoli iniziano con la parola tradotta "Guai": 5,8-10; 5,11-17; 5,18-19; 5,20; 5,21; 5,22-24. Dopo l'ultima unità bisogna andare avanti fino a 10,1-4 per trovare la prossima unità di critica sociale che inizia con "Guai". C'è un'altra unità con "Guai" in 10,5 ma il tema non è più quello di critica sociale bensì di critica politica.

Nell'ultima unità di critica sociale (10,1-4) notiamo la frase finale del brano: "Con tutto ciò non si calma la sua ira / e ancora la sua mano rimane stesa" (10,4). La stessa frase si trova prima a 5,25 e poi alla fine delle unità 9,7-11; 9,12-16; 9,17-20. Di nuovo un legame fra il cap. 5 e la sezione 9,7–10,4.

Nella sezione 6,1–9,6 al contrario non si trova nè un oracolo di "Guai" con tema di critica sociale nè il ritornello conclusivo ("ira" e "mano stesa").

Sembra proprio che i compositori del libro abbiano voluto costruire una struttura di tipo A (cap. 5) — B (6,1–9,6) — A′ (9,7–10,4).

Conseguentemente se nell'interpretazione del cap. 6 cerchiamo luce dal contesto immediato, dobbiamo appellarci in primo luogo ai testi che seguono nel 7,1–9,6. L'utilità di questo risultato si vedrà più avanti, soprattutto per la lettura dei versetti difficili 6,9-10.

1.3    Lettura commentata

1.3.1    La visione (vv. 1-8)

Non avendo il tempo per un commento dettagliato versetto-dopo-versetto, scegliamo una presentazione sintetica incentrato sui tre personaggi della visione: YHWH, i serafini, e Isaia.

1.3.1.1    YHWH re santissimo

Tutta la presentazione di YHWH qui comunica un forte senso di trascendenza che provoca un atteggiamento di umile adorazione da parte di Isaia nel testo e poi del lettore credente.

Il titolo "re" occorre esplicitamente nel v.5 nella bocca di Isaia, ma l'immagine è chiara dall'inizio (YHWH, immensamente grande, seduto in trono nel v. 1, circondato dai suoi servi i serafini nei vv. 2-3). L'uso del titolo "re" per una divinità si trova spesso nelle culture intorno a Israele (a Ugarit, per esempio, verso la fine del secondo millennio a.C. il dio supremo "El" viene spesso chiamato "re" or "re eterno"). Nei testi biblici l'uso del titolo è particolarmente frequente in testi che provengono dalle tradizioni di Gerusalemme (cf. Sal 93; 96; 97). Nel libro di Isaia il sostantivo "re" viene applicato a YHWH cinque volte (6,5; 33,22; 41,21; 43,15; 44,6) e YHWH è soggetto del verbo "regnare" due volte (24,23; 52,7).

La santità di YHWH viene sottolineata dalla triplice acclamazione dei serafini "Santo, santo, santo" (v. 3). Qui incontriamo una caratteristica della presentazione di Dio in tutto il libro di Isaia. Il titolo "il Santo di Israele" (che come tale non ricorre nel cap. 6) è tipico del libro, dove si trova 25 volte (mentre in tutto il resto dell'AT si trova solo 6 volte); di queste 25 ricorrenze 12 si trovano nei capp. 1-39, 11 nei capp. 40-55, e 2 nei capp. 56-66. Applicato a YHWH il concetto di santità ha due aspetti: (1) quello "ontologico", cioè, connotando l'altereità di YHWH di fronte a ogni altro essere, la sua trascendenza; (2) l'aspetto etico di santità morale, l'opposto di ogni imperfezione etica. Ambedue gli aspetti si trovano nel cap. 6: quello ontologico soprattutto nei vv. 3-4, quello etico nella reazione di Isaia nel v. 5.

1.3.1.2    I serafini

Is 6 è l'unico testo nell'AT dove i serafini sono presentati in stretta relazione con YHWH (non sono da confondere con i cherubini di Ezech 10 e altri testi). Vediamo che funzione hanno nel testo (il punto più importante) e poi che si possa dire sulla loro maniera di apparire.

Chiaramente la funzione principale dei serafini in Is 6 è quella di creare un'atmosfera di maiestà e soprattutto di santità intorno a YHWH (vv. 1-4) e anche di mostrare come Isaia è piccolo e impuro nella presenza di YHWH (vv. 5-7).

Per quanto riguarda la loro figura, il testo li presenta come esseri alati (sei ali a ciascuno) ma anche con tratti umani (acclamano a gran voce la santità di Dio; hanno mani cf. v. 6). La parola "serafino" viene da un verb ebraico che significa "bruciare", dunque "essere bruciante" in qualche modo. A parte Is 6, il sostantivo si trova in due altri testi di Isaia (14,29 e 30,6), dove sono presentati con delle ali (CEI "drago alato" e "draghi volanti"). Sono pertinenti anche i testi di Num 21 (vv. 6 e 8), dove si tratta dei serpenti che mordevano gli israeliti e del serpente di bronzo. Poi le ricerche archeologiche hanno trovato in diversi siti di Giuda negli strati del 8º sec. a.C. un numero considerevole di sigilli con l'immagine di un serpente alato. Ciò porta a pensare che nella religiosità popolare c'era una venerazione per queste figure, appunto i serafini, forse con funzioni di guarire le persone malate. Se ciò fosse, allora si potrebbe concludere che il testo di Is 6 si preoccupa di subordinare tali serafini venerati nella religiosità popolare a YHWH, presentandoli come suoi servitori e adoratori.

1.3.1.3    Isaia

La reazione di Isaia di fronte alla visione maiestosa di YHWH circondato dai serafini inizia nel v. 5 con un verbo ebraico che può essere tradotto in due modi: "sono perduto" (cioè, sono in pericolo di morte) oppure "devo stare zitto" (cioè, la mia impurità non mi consente di aprire bocca e associarmi al canto dei serafini). In ogni caso, due aspetti sono da sottolineare nella presentazione di Isaia nei vv. 5-7.

Primo, l'insistenza sulla sua impurità, non solo rituale ma anche morale, una impurità poi che lo associa con il suo popolo. Una solidarietà nella colpa. Il testo non si interessa di specificare la natura di questa colpevolezza di Isaia (la tradizione esegetica, già nell'antichità, ha offerto varie ipotesi, ma la questione non ha importanza). Centrale qui invece è l'iniziativa del santo Dio che manda uno dei serafini a purificare le labbra di Isaia con un carbone ardente (fuoco simbolo di santità!), una purificazione dolorosa s'intende (anche se il testo non lo dice esplicitamente). La colpevolezza non dev'essere un peso che paralizza e porta alla morte, ma può diventare l'occasione di manifestare la santa volontà di YHWH di comunicare la santità alle sue creature. La purificazione specificamente delle labbra è particolarmente adatta per un profeta che deve comunicare le parole del santo Dio.

Secondo, lo sgomento di Isaia per aver "visto Dio con i suoi occhi" (v. 5) potrebbe collegare il testo con altri testi biblici che asseriscono che nessuno può vedere Dio e rimanere in vita (per es. Es 33,20; Gdc 6,22-23). Però è stato notato che ci sono altri testi che parlano di "vedere Dio" in una visione senza conseguenze negative (1 Re 22,19; Am 7,7; 9,1). Forse bisogna riconoscere l'esistenza di diverse tradizioni nella Bibbia a proposito.

1.3.2    La missione (vv. 8-13)

Questi versetti fanno parte ancora della visione, si capisce, ma dal v. 8 in poi l'attenzione si sposta al dialogo fra YHWH e Isaia ormai purificato e reso capace di ascoltare le parole del Dio santo che gli affida una missione.

1.3.2.1    Scenario: corte celeste

Nel v. 8b si nota l'uso di una prima persona plurale nelle parole di YHWH: "chi manderò e chi andrà per noi? Questo plurale probabilmente implica uno scenario di corte celeste, in cui il sovrano Dio circondato dai suoi ministri li associa con sé nelle sue decisioni. Anche la presenza dei serafini nei vv. 1-7 appoggia questa tesi. (Altri invece sostengono che si tratta di un semplice "plurale di maiestà".)

Il concetto di corte celeste era ben noto nelle religioni politeistiche della Mesopotamia e di Ugarit (per non parlare della religione greca e altrove), dove si trattava di un vero consesso di divinità sotto la presidenza del capo del panteon. Il concetto passò anche nella letteratura di Israele con addattamenti, dove lo troviamo in una trentina di testi biblici; a parte Is 6, si veda specialmente 1 Re 22,19-23; Ger 23,18.21-22; Am 3,7; Sal 82; 89,6-8; Gb 1-2. Nei testi biblici YHWH è il capo incontestato dell'assemblea; gli altri membri possono essere descritti come "figli dei dei" o "figli dell'Altissimo" (cf. Sal 82; 89; Gb 1–2), o "serafini" (Is 6), o "l'esercito del cielo" (1 Re 22,19). Svolgono varie funzioni subordinate: dare consiglio o aiutare nell'esecuzione delle decisioni di YHWH (Is 6; Gb 1–2); lodare e glorificare YHWH (Is 6; Sal 19,2; 29,1-2; 89,7-8); aiutare gli umani poveri e oppressi (Sal 82). In un certo numero di testi c'è l'idea che un profeta vero ha accesso alla corte celeste, dove sente le decisioni di YHWH e riceve la sua missione (Is 6; Ger 23,18.21-22; Am 3,7.20).

In questo scenario, dunque, Isaia si offre volontario per una missione che verrà subito precisata. Alcuni studiosi sottolineano il contrasto fra l'atteggiamento di Isaia qui e le esitazioni di Geremia di fronte alla sua missione (Ger 1,6), ma i due contesti sono ben diversi e il paragone probabilmente non è molto corretto (soprattutto se viene fatto in chiave psicologico!)

1.3.2.2    Compito del profeta: indurire il popolo (vv. 9-10)

Si annunzia che "questo popolo" (di Giuda: cf. v. 5) non comprenderà il messaggio del profeta (v. 9). Più duro ancora il v. 10 che con una serie di imperativi nell'ebraico dice che Isaia deve "rendere insensibile, indurire, e accecare" il popolo in modo che non si converta e venga guarito (e si noti l'enfasi creata dalla struttura ternaria concentrica all'interno del v. 10: A – B – C – C′ – B′ – A′). Un compito durissimo e di difficile comprensione. Già nell'antichità si vede che il testo ebraico ha creato disagio: la versione greca (la Settanta) infatti non ha forme imperative nel v. 10 ma verbi nell'indicativo aoristo che descrivono uno stato di cose già avvenuto, il che è molto meno difficile a capire (e perciò sospetto come lettura in sede di critica testuale).

Con la quasi totalità degli studiosi rimaniamo col testo ebraico, dove sembra che la missione di Isaia è proprio quella di indurire il popolo di Giuda. Come capire una tale missione che pare l'esatto contrario di ciò che si aspetta da un profeta?

Come prima cosa, dobbiamo uscire dalla mentalità moderna che volentieri trasferisce la problematica in chiave psicologica (come Isaia si sarebbe sentito di fronte a un tale commando? ecc.). Il testo biblico qui non si interessa granchè di tali analisi ma guarda soprattutto la realtà delle relazioni fra YHWH e "questo popolo". Allora già nel cap. 5 abbiamo letto dell'intenzione del padrone della vigna di esporre la sua amata vigna alla devastazione e alla rovina a causa dell'ingiustizia che pervade Giuda e Gerusalemme. Adesso manda Isaia come profeta a proclamare una parola che il popolo, che si è già chiuso alle attenzioni di Dio, non capirà, cosicchè la parola di Dio produrrà l'effetto paradossale di rendere il popolo ancora più chiuso di fronte a Dio. Un indurimento che vedremo poi portato in atto nel contesto immediato seguente: nel cap. 7 leggeremo dell'indurimento del re Acaz di fronte all'invito di Dio comunicato da Isaia (7,10-17), e poi nel cap. 8 leggeremo dell'indurimento di "questo popolo" che "ha rigettato le acque di Siloe" (8,6) che stanno per indicare la protezione salvifica per Gerusalemme offerta da YHWH. Re e popolo dunque hanno rigettato YHWH e perciò la devastazione arriverà (cioè, l'invasione degli Assiri e dopo di loro dei Babilonesi). Ma la chiusura, l'indurimento non è totale. C'è già un piccolo gruppo di fedeli, simboleggiati da Isaia e i suoi discepoli (8,16-18), che aspettano fiduciosi anche se YHWH sembra aver nascosto la sua faccia da Gerusalemme. E poi nel futuro (9,1-6) dopo le tenebre ci sarà un re davidico che reggerà il popolo "con il diritto e la giustizia" (9,6) sul trono di Davide in un'era di pace e benessere. La vigna verrà ristabilita (cf. 27,2-5).

Letto dunque nel contesto immediato, come si trova nella forma finale del libro, l'indurimento del popolo da realizzare dal profeta dev'essere visto come una tappa, uno stadio, in un processo più grande di purificazione del popolo anche tramite le calamità storiche (cf. il testo programmatico di Is 1,21-28).

1.3.2.3    Dialogo conclusivo (vv. 11-13)

La domanda fatta da Isaia nel v. 11a ("Fino a quando, Signore?") probabilmente non vuole solo chiedere un'informazione temporale sulla durata dell'indurimento del popolo. In vista degli altri casi di intercessione profetica (cf. per es. Am 7,2.5), e dell'uso nei Salmi della frase "fino a quando" con la connotazione di una supplica a Dio per la fine di uno stato di sofferenza (cf. Sal 74,10; 79,5; 90,13; 94,3), c'è da sentire qualcosa del genere anche nella reazione di Isaia qui. Il profeta mostra la sua solidarietà con il popolo (cf. 6,5).

Comunque la risposta del Signore (vv. 11b-13) non offre nessuna consolazione per l'immediato. La calamità dovrà arrivare: devastazione e desolazione nel paese e deportazione degli abitanti di Giuda (11b-12b). Poi nel v. 13 (dove il testo ebraico è assai difficile, soprattutto in 13c-d, con molte differenze di comprensione nelle traduzioni e nei commentari) si dice che anche la decima parte che rimane (= il regno del sud, Giuda, dopo la fine del regno del Nord?) soffrirà anch'essa una devastazione (= l'invasione dei Babilonesi?) e solo una minima parte resterà. Da questa "progenie santa" (cf. Esdra 9,2) verrà un ceppo di nuova vita. Una piccola luce come prospettiva dopo le grandi tenebra, che costituiscono il messaggio centrale del capitolo.

1.4    Genere letterario: racconto di vocazione?

La domanda potrebbe sorprendere a prima vista, in quanto quasi tutte le traduzioni intitolano Is 6 "La vocazione di Isaia" o qualcosa di equivalente. Però ci sono indizi nel testo che rendano incerto, o almeno problematico, un tale titolo. Per questo discutiamo la questione nell'ambito della lettura di forma finale del libro. Dopo nella fase di studio diacronico ci sarà modo di ritornare alla questione.

1.4.1    Argomenti in favore della lettura di Is 6 come "racconto di prima chiamata"

La solennità del testo (scenario di corte celeste ecc.) servirebbe molto bene per sottolineare il momento decisivo della prima chiamata e della prima missione profetica.

Specificamente il riferimento alle labbra impure di Isaia e al rito di purificazione delle labbra sembra presupporre che Isaia non fungeva da profeta prima (un profeta con labbra impure?!).

1.4.2    Difficoltà per la lettura come "racconto di prima chiamata"

Prima di tutto la posizione del capitolo nel libro: perchè il racconto si trova al cap. 6, e non al cap. 1 (come sarebbe normale e come è il caso infatti per i racconti della prima chiamata di Geremia e di Ezechiele)?

Se la nota cronologica a 6,1 ("nell'anno in cui morì il re Ozia") vuole situare la visione dopo la morte di questo re (come è certamente il senso della frase analoga a Is 14,28 – l'unico testo parallelo nel libro di Isaia), allora non si vede come può essere la prima chiamata in visto del fatto che il lettore sa già da Is 1,1 che Isaia era attivo come profeta durante il regno di Ozia.

Ci sono poi dei paralleli impressionanti fra Is 6 e il racconto della visione del profeta Michea in 1 Re 22,19ss. Quest'ultimo testo però non è un racconto di prima chiamata di Michea, che è già profeta, ma presenta una missione particolare data da YHWH nella corte celeste.

Sommando queste osservazioni, diversi studiosi hanno proposto che Is 6 così come sta nel contesto della forma finale del libro non è da leggere come racconto della prima chiamata di Isaia bensì come racconto di una missione molte particolare ed importante data a Isaia, già profeta, in vista della situazione particolare di Giuda (cf. i legami con i capp. 7-8).

1.4.3    Conclusione

Non è facile offrire una conclusione a questo dibattito, in quanto ambedue le parti sembrano avere delle buone ragioni per le rispettive tesi. Si può comunque notare che gli argomenti per la tesi della "prima chiamata" sono tirati dall'interno del testo di Is 6, mentre alcuni degli argomenti per la tesi della "missione particolare" vengono dal contesto intorno a Is 6.

Per adesso dunque si potrebbe forse dire che nell'orizzonte di una lettura della forma finale del libro sembra preferibile una lettura che privilegi l'orientamento dato dal contesto del libro e che dunque leggerà Is 6 come un racconto di una "missione particolare" solennemente data a Isaia già profeta (cf. i capp. 1-5!). Gli argomenti contro questa lettura però ci obbligano a ritornare alla questione nella fase di studio diacronico del testo.

2.   Studio diacronico

Qui vedremo molto sinteticamente la questione della genesi del testo di Is 6 (2.1) e su questa base esamineremo la questione del rapporto fra il testo e l'esperienza del Isaia storico (2.2).

2.1    Storia redazionale di Is 6

C'è un accordo pressochè generale fra gli studiosi nel sostenere che ci sono degli indizi testuali che ci orientano a distinguere diacronicamente in Is 6 uno strato originale e delle aggiunte attualizzanti posteriori. Come spesso capita in tali questioni non c'è accordo fra tutti quanto ai dettagli di questa distinzione, ma sulla necessità della distinzione, sì.

Non è possibile nel tempo a disposizione presentare tutto il dibattito, perciò in seguito verrà presentata solo una tesi assai comune, anche se non viene accettata da tutti.

Secondo questa tesi ci sono buoni indizi per sostenere che i vv. 12 e 13 siano stati aggiunti al testo-base in epoche posteriori. Il testo-base, che riflette in qualche modo il tempo di Isaia del VIII sec., l'abbiamo nei vv. 1-11 (a parte forse v. 10g). Vediamo adesso le ragioni per questa tesi.

Per quanto riguarda il v. 12, si nota prima che ripete praticamente il contenuto del v. 11b-c, solo che insiste più esplicitamente su una deportazione dal paese. Poi si constata che non è chiaro se i vv. 12-13 debbano essere letti come la continuazione della risposta di YHWH nel v. 11 (e in questo caso YHWH parlerebbe di sé stesso in terza persona in v. 12a: cosa un po' sorprendente anche se non impossibile) o se i vv. 12-13 debbano essere letti come dei commenti alle parole di YHWH nel v. 11 fatti dal narratore del testo, cioè Isaia (e in questo caso ci si chiede perchè l'autore non abbia espresso questo cambiamento di voce più chiaramente). Tutto diventa più comprensibile se si propone che il v. 12 sia stato scritto da un altro autore che non si curava molto di questioni di estetica letteraria ma che aveva la preoccupazione dominante di attualizzare il testo per la situazione di una deportazione dal paese, attribuendo la causalità ultima di questa deportazione ad una decisione di YHWH stesso. In altre parole, il v. 12 offre una giustificazione teologica della deportazione. Quale deportazione? Potrebbe essere quella avvenuta alla caduta del regno del Nord nel 722/721, ma più probabilmente (visto l'orizzonte di Gerusalemme e di Giuda nel testo) si tratta della prima deportazione da Giuda effettuata dai Babilonesi nel 597.

Quest'ultima ipotesi diventa ancora più probabile quando notiamo che le parole del v. 13a-b (una decima parte rimane ma sarà anch'essa preda di distruzione) si applicano benissimo alla seconda deportazione da Giuda nel 587/586. Purtroppo il testo del v. 13d è troppo oscuro per permettere un'identificazione sicura del "ceppo" (la gente rimasta in Giuda dopo il 597 oppure quelli rimasti dopo il 587/586?). In ogni caso, non è chiaro se il senso di questo riferimento a un ceppo nel v. 13c-d sia positivo (salvifico) o negativo (il ceppo sarebbe la "decima parte" del v. 13a e sarà preda di nuova distruzione).

Solamente nel v. 13e abbiamo un riferimento certo ad una prospettiva positiva; il "ceppo" del v. 13d viene identificato con una "progenie santa", un sintagma che ricorre altrove in un solo testo, cioè Esdra 9,2 (testo postesilico). Si può capire perchè molti studiosi ritengono che la menzione salvifica del v. 13e è da attribuire a un commentatore postesilico, che voleva introdurre una nota positiva in un testo che è quasi del tutto di tonalità negativa e minacciosa.

Se dunque i vv. 12-13 siano delle aggiunte al racconto originale della visione di Isaia, bisogna concludere che lo strato originale del testo che adesso si trova in Is 6 non conteneva nessuna espressione di speranza; il messaggio era solamente di giudizio per il popolo indurito.

2.2    Contesto dello strato originale di Is 6, e conseguenze per il problema dell'indurimento

Abbiamo visto che nella forma finale del testo ci sono buone ragioni per sostenere che il blocco 6,1–9,6 abbia una sua identità specifica, diversa dai testi prima e dopo. Molti studiosi hanno concluso che questa conclusione sincronica deve valere anche a livello diacronico, e cioè che storicamente esisteva una piccola raccolta (una volta indipendente) di testi comprendenti una buona parte dei materiali che adesso leggiamo fra 6,1 e 9,6. A questa raccolta viene dato spesso il nome "Memoriale" ("Denkschrift") di Isaia. Non tutti i sostenitori di questa tesi estendevano questa raccolta fino a 9,6; molti vedevano la fine originale della raccolta nel brano 8,16-18. Anche diversi altri versetti all'interno dei capp. 7 e 8 potrebbero essere delle aggiunte alla raccolta originale (come lo sono probabilmente 6,12-13).

L'interesse di questa tesi sta anche nel fatto che secondo essa il racconto della visione di Isaia nel cap. 6 stava all'inizio della piccola raccolta. Cade, cioè, una della ragioni principali per negare che il testo possa essere letto come racconto di prima chiamata. In altre parole, nell'ipotesi della piccola raccolta originalmente indipendente (6,1–8,18*) si può benissimo leggere il testo del cap. 6* come racconto della vocazione di Isaia, presentato per autorizzare i suoi interventi nella crisi della guerra Siro-Efraimita (capp. 7–8).

Ciò detto, bisogna però andare molto cauti nel voler tirare delle conclusioni psicologiche riguardo all'esperienza personale di Isaia dal testo anche nel suo strato originale. Le lunghe discussioni esegetiche del passato su come il profeta abbia potuto esortare alla fedeltà (cf. 7,9) se sapeva dall'inizio che doveva invece indurire il popolo, sono probabilmente da scartare come problematiche estranee all'orizzonte del testo anche a livello del suo strato originale. La discussione fra gli studiosi però continua su questo punto.


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