Si tratta dell'unico brano narrativo nel libro di Amos, nel quale viene presentato in modo paradigmatico uno scontro fra il sacerdote Amasia (leale servitore del re di Israele) e Amos (chiamato da Dio a profetizzare). Anche se il re non appare direttamente sulla scena qui, è comunque interessante notare il coinvolgimento di re, profeta, e sacerdote in questo racconto di forte densità teologica.
I punti principali della lezione sono:
Una bibliografia per il testo si trova qui.
Guardiamo prima (1.1) ad alcuni aspetti strutturali e narrativi del testo, per poi passare (1.2) ad un commento sul contenuto, e infine (1.3) cerchiamo di formulare il significato del brano.
Versione CEI (prima edizione)
[10a] | Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboàmo re di Israele: |
[10b] | «Amos congiura contro di te in mezzo alla casa di Israele; |
[10c] | il paese non può sopportare le sue parole, |
[11a] | poiché così dice Amos: |
[11b] | Di spada morirà Geroboàmo |
[11c] | e Israele sarà condotto in esilio lontano dal suo paese». |
[12a] | Amasia disse ad Amos: |
[12b] | «Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda; |
[12c] | là mangerai il tuo pane |
[12d] | e là potrai profetizzare, |
[13a] | ma a Betel non profetizzare più, |
[13b] | perché questo è il santuario del re |
[13c] | ed è il tempio del regno». |
[14a] | Amos rispose ad Amasia: |
[14b] | «Non ero profeta, né figlio di profeta; |
[14c] | ero un pastore e raccoglitore di sicomori; |
[15a] | Il Signore mi prese di dietro al bestiame |
[15b] | e il Signore mi disse: |
[15c] | Và, profetizza al mio popolo Israele. |
[16a] | Ora ascolta la parola del Signore: |
[16b] | Tu dici: Non profetizzare contro Israele, |
[16c] | né predicare contro la casa di Isacco. |
[17a] | Ebbene, dice il Signore: |
[17b] | Tua moglie si prostituirà nella città, |
[17c] | i tuoi figli e le tue figlie cadranno di spada, |
[17d] | la tua terra sarà spartita con la corda, |
[17e] | tu morirai in terra immonda |
[17f] | e Israele sarà deportato in esilio lontano dalla sua terra». |
Iniziamo (1.1.1) con la questione della delimitazione del brano, poi (1.1.2) esaminiamo una possibile strutturazione, e infine (1.1.3) riflettiamo sull'intenzione narrativa del testo.
Il racconto si trova fra la terza visione (7,7-9) e la quarta visione (8,1-3), in una posizione che crea un po' di sorpresa per i lettori. Mentre la fine del racconto a 7,17 è evidente, si può avere qualche dubbio per quanto riguarda l'inizio (7,9 oppure 7,10). Da una parte, ci sono contatti chiari fra 7,9 e il racconto nei vv. 10-17 (il motivo del castigo ["la spada": vv. 9, 11, 17] per la casa del re Geroboamo, il cui nome personale ricorre nel libro solo nei vv. 9, 10 e 11, a parte il versetto iniziale 1,1). Dall'altra parte, però, 7,9 è un brano poetico con parallelismo formale, mentre il testo passa alla prosa narrativa nel v. 10. Per questo motivo, i commentatori generalmente preferiscono vedere il v. 10 come l'inizio del racconto, mentre il v. 9 potrebbe essere visto come un'estensione che prolunga la terza visione e crea un legame con il racconto dei vv. 10ss (cf. 8,3 come un'estensione della quarta visione).
Si propone un'articolazione del racconto in quattro parti: nelle prime due è il sacerdote Amasia che prende l'iniziativa, mentre nelle ultime due abbiamo le risposte di Amos. Si noterà poi che c'è un certo parallelismo di contrasto fra le parti I e III e fra le parti II e IV.
I. | vv. 10-11 | Amasia accusa Amos presso il suo superiore, il re Geroboamo |
II. | vv. 12-13 | Amasia dà ordini ad Amos, che lo coinvolgono personalmente |
III. | vv. 14-15 | Amos si difende dalle accuse di Amasia, facendo riferimento al suo "superiore", cioè, YHWH |
IV. | vv. 16-17 | Amos comunica le decisioni di YHWH ad Amasia, che lo coinvolgono personalmente insieme con tutto Israele. |
Si noti anche la ripetizione di un'intera riga nelle parti I e IV (v.11c e 17f: nonostante la versione CEI, la formulazione è identica nell'ebraico), e la ripetizione dell'imperativo "Và" nelle parti II e III (v.12b e 15c).
Una lettura attenta del brano fa vedere che il testo si interessa primariamente delle parole di Amasia e di Amos. Non viene raccontato quali azioni seguirono dalle parole. Si possono notare tre esempi di tale silenzio. (1) Amasia mando un rapporto al re, ma non viene raccontato la reazione del re. (2) Amasia dà un ordine di espulsione ad Amos di tornare in Giuda, ma non viene raccontato se Amos obbedì all'ordine (presumibilmente sì, perchè Amasia come sacerdote-capo aveva a disposizione dei mezzi coercitivi; il fatto però è che il testo non lo racconta). (3) Amos annuncia in nome di YHWH un destino tremendo per Amasia e la sua famiglia, ma non viene raccontato se le cose andarono proprio così.
Certo il lettore di qualsiasi racconto è chiamato ad una lettura attiva, che può "riempire i buchi" lasciati dal narratore, ma qui sembra che ci sia qualcosa di più, cioè, l'intenzionalità di presentare esplicitamente solo le parole dello scontro con un minimo di informazione biografica. Tale focalizzazione sulle parole ha l'effetto di concentrare l'attenzione del lettore sulla situazione di conflitto generato dalla parola profetica e sul problema dell'autorità e dell'autenticità della parola profetica. Questa è una situazione ricorrente per chi proclama la parola di Dio. Cf. Marco 11,27-33 (dopo l'azione profetica di cacciare i venditori dal tempio in 11,15-19): "Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l'autorità di farlo?..." (v.28).
Per questo il testo stesso di Am 7,10-17 ci invita a leggere il racconto non tanto in chiave biografico ma come un testo paradigmatico, che non presenta semplicemente un avvenimento isolato ed unico ma una situazione ricorrente – il confronto fra un profeta disarmato e i potenti civili e religiosi armati con vari mezzi di coercizione fisica e morale. Cf. inoltre Ger 26.
Seguiamo la strutturazione proposta sopra dividendo il commento in quattro parti: (1.2.1) Amasia manda un messaggio accusatorio al re (vv. 10-11); (1.2.2) Amasia dà ordini ad Amos (vv. 12-13); (1.2.3) Amos si difende, accennando alla sua chiamata (vv. 14-15); (1.2.4) Amos annuncia il giudizio di YHWH su Amasia (vv. 16-17). Trattandosi di una lettura di forma finale, evidentemente si intende dappertutto "Amos del testo" e "Amasia del testo".
Amasia appare qui per la prima volta nel libro; insolitamente non c'è nessuna informazione sulla sua famiglia ("figlio di ..."). Il racconto s'interessa solo della sua funzione: è "sacerdote di Betel" (10a). Betel, ca 13 km al nord di Gerusalemme, nel territorio di Efraim, era uno dei due santuari ufficiali istituiti dal re Geroboamo I quando gli Israeliti del nord si separarono da Giuda dopo la morte di Salomone (cf. 1 Re 12). Probabilmente Amasia era il sacerdote-capo al santuario, visto che prende l'iniziativa di mandare un messaggio al re. Come responsabile per "l'ordine pubblico" nel santuario, Amasia aveva il compito di controllare anche gli eventuali profeti che parlavano nel santuario (cf. una simile funzione nel tempio di Gerusalemme al tempo di Geremia un secolo e mezzo dopo: Ger 20,1-2 e 29,26).
Il messaggio di Amasia al re è presentato nei vv.10b-11c. La chiave di lettura si trova nel v.10b, che presenta Amos in termini politici come uno che vorrebbe rovesciare il re, un rivoluzionario. (Bisogna aggiungere che non mancavano i precedenti: cf. 2 Re 9–10!) Amasia prosegue (10c) affermando che le parole di Amos sono intollerabili, in quanto minacciano direttamente la sicurezza nazionale e la persona del re. E termina con una citazione delle parole incriminate (11a-c), dove si nota la somiglianza (ma non l'identità) con 7,9, il versetto che precede il racconto: Amos avrebbe annunciato la morte violenta del re e la deportazione in terra straniera per Israele.
A questo punto bisogna confrontare questo messaggio di Amasia con ciò che noi lettori già conosciamo dal libro di Amos. Della forte insistenza sulla critica sociale che domina nei capitoli precedenti, nessun accenno nel messaggio di Amasia; lo stesso vale per la critica cultica (cf. Am 5,21ss). Per Amasia tutto è ridotto alla dimensione politica, e così l'attività profetica di Amos viene presentata in modo unilaterale e pertanto falso. Forse si può dire di più. Nel messaggio al re Amos viene accusato di aver annunciato che "di spada morirà Geroboamo" (11b). Però il lettore sa che 7,9 ha presentato la parola di YHWH in questa forma: "...io mi leverò con la spada contro la casa di Geroboamo" (cioè, contro la sua famiglia, i suoi discendenti, e non necessariamente contro Geroboamo in persona). Il lettore potrebbe sospettare che Amasia non solo presenta un'immagine unilaterale dell'attività profetica di Amos in generale ma che fa una citazione falsa nel caso particolare.
In ogni caso, notiamo la tecnica. Si tenta di screditare il profeta portatore della parola di YHWH presentandolo come agitatore politico o rivoluzionario che agisce contro la sicurezza dello stato e dei suoi governanti. Una tecnica niente affatto limitata all'ottavo secolo a.Cr.
Come abbiamo notato sopra, il testo non dice niente della reazione del re, per cui non è chiaro se le parole di Amasia nei vv. 12-13 siano una comunicazione ricevuta dal re o se siano frutto di una sua iniziativa autonoma. Poco importa per il racconto, che s'interessa primariamente del contenuto della parole.
Amasia si rivolge ad Amos con un vocativo "veggente" (חזה ḥōzeh), un termine di per sé onorevole e rispettoso (cf. 2 Sam 24,11; Is 30,10), ma qui nel contesto probabilmente carico di sarcasmo e di disprezzo ("povero illuso, sognatore..."). Seguono due imperativi (12b: "Vattene, fuggi verso il paese di Giuda..."); è un ordine di espulsione dal regno del nord. Amos non può più ricevere da mangiare nel santuario di Betel (12c-d): un'insinuazione che profetizzava per guadagnarsi la vita! Essendo Betel un "santuario del re" (13b-c), Amos non può parlare contro il re in quel luogo. Un profeta deve sottostare all'ordine pubblico secondo le disposizioni delle autorità stabilite! Per Amasia tutto sembra chiaro.
Nella risposta di Amos ad Amasia nei vv. 14-15, ci sono elementi più chiari (1.2.3.1) e elementi più discussi (1.2.3.2).
1.2.3.1 Elementi chiari
Amasia aveva insinuato (v.12c) che Amos faceva il "veggente" semplicemente per guadagnarsi il pane quotidiano. Il punto centrale della risposta di Amos è di confutare questa accusa, facendo capire che lui, Amos, aveva già un suo mestiere e abbastanza mezzi economici per vivere senza grossi problemi. Non aveva nessun bisogno di fare il veggente per vivere. Al contrario, è venuto nel regno del Nord a profetizzare soltanto perchè una chiamata di YHWH ha interrotto la sua vita normale, mandandolo in missione a Israele.
I termini rari che descrivono il mestiere di Amos nel v.14c sono stati studiati da molti commentatori. Il vocabolo tradotto nella versione CEI come "pastore" non è la parola normale per pastore; non è neanche il termine nōqēd usato a Am 1,1; qui in 14c si tratta di un termine hapax (che ricorre solo qui) bôqēr, che sembra relazionato al sostantivo bāqār "bestiame"; dunque uno che aveva bestiame, proprietario di greggi. Il sintagma che segue (CEI "raccoglitore di sicomori"), nel quale la prima parola è anche hapax, può essere capito così: il proprietario Amos per trovare nutrimento per le sue greggi durante i mesi invernali avrebbe affittato l'uso di alcuni alberi di sicomori, che producevano fichi (Ficus sycomorus) [non si tratta dell'albero chiamato in inglese "sycamore", Acer pseudoplatanus]; i fichi meno buoni servivano per gli animali, mentre Amos poteva vendere quelli più buoni. Per ulteriori dettagli cf. la monografia recente dello Steiner.
Aggiungiamo che le parole del v.15a ("YHWH mi prese di dietro il bestiame") non escludono affatto che Amos era proprietario del bestiame. Per cui il punto centrale dei vv. 14-15 rimane chiaro.
1.2.3.2 Elementi discussi
Fortemente discusso invece è il riferimento temporale di 14b-c. Da molto tempo le traduzioni bibliche e i commentari sono divisi su questo punto, che dipende dal fatto che nell'ebraico si tratta di proposizioni nominali (cioè senza un verbo); una versione letterale sarebbe "non nābî’ io, e non figlio di nābî’ io / ma allevatore io, e raccoglitore di sicomori". La proposizione nominale ebraica è di per sé atemporale; è il contesto che determina il riferimento temporale. Molte lingue però devono completare la traduzione con il verbo "essere", ma in quale tempo?
a) Molte traduzioni (CEI, NAB, TOB, Biblia del Peregrino, ecc.) e commentari preferiscono il tempo passato ("non ero profeta... ero un allevatore di bestiame...": così già l'antica versione greca). Secondo questa opzione, Amos dice che non era già un profeta di mestiere in Giuda quando ha ricevuto la missione di recarsi al Nord, non era neanche un discepolo ("figlio di profeta") che seguiva qualche profeta. Al contrario aveva il suo mestiere indipendente, dal quale YHWH lo ha chiamato. Non "era" profeta prima, ma (si può sottintendere) è diventato profeta dopo la chiamata.
b) Però altre traduzioni (NRSV, Jewish Study Bible, BJ3, EÜ, ecc.) e commentari scelgono il tempo presente ("Non sono profeta ... ma sono un allevatore di bestiame ...": così già la Volgata). A prima vista è una lettura più difficile di quella precedente, ma ciò non è necessariamente un argomento contro questa traduzione. Il senso sarebbe: anche adesso Amos rifiuta di essere classificato come nābî’, per non essere confuso con i "profeti di mestiere" al santuario di Betel (dunque il termine "profeta" sta per indicare uno status socialmente riconoscibile, senza implicazioni teologiche). Amos senz'altro fa l'azione di profetizzare (c'è il verbo dello stesso radice nel v.15c), ma rifiuta l'etichetta di ruolo (il sostantivo) per distanziarsi dai profeti di allora, forse troppo "inseriti" nelle istituzioni cultiche e politiche della società. Lui dipende solo dalla chiamata di YHWH.
Evidentemente la discussione continua (e ci sono anche alcune altre proposte di traduzione), ma in ogni caso il punto centrale della risposta di Amos rimane chiaro: lui aveva una sua indipendenza economica, quindi se è apparso nel Nord per profetizzare non è per ragioni economiche ma unicamente in risposta ad una chiamata divina.
Se Amasia si oppone alla missione di Amos, si sta opponendo in realtà alla decisione di YHWH e deve pagare le conseguenze. Perciò troviamo nei vv. 16-17 la forma tipica dell'oracolo di giudizio: denuncia di peccati (16b-c) e annuncio di castigo (17a-f). Il castigo presuppone una situazione di invasione militare del paese con le sue conseguenze purtroppo abituali: violenza contro le donne dei vinti (17b: cf. Is 13,16; Lam 5,11), uccisione di bambini (17c), perdita delle terre (17d), e deportazione in terra straniera vista come ritualmente impura soprattutto per un sacerdote (17e). Il castigo non si limiterà ad Amasia e alla sua famiglia; toccherà al regno del Nord nel suo insieme (17f: cf. Am 7,9). Per i lettori della forma finale del testo è chiaro che si sta parlando dell'invasione degli Assiri e della rovina del regno del Nord nel 722/21.
I redattori del libro hanno messo il racconto dello scontro a Betel in mezzo alla serie di racconti di visioni, fra la terza e la quarta visione. In questo modo, il contesto mostra due aspetti di Amos: la sua certezza esteriore pubblica (7,10-17) e la realtà interiore delle visioni che hanno generato questa certezza di aver incontrato YHWH in modo straordinario. Inoltre, il contesto di 7,10-17 fa capire al lettore la piena dimensione teologica dello scontro: non si tratta di una questione di ordine pubblico ma del fatto che il re Geroboamo (implicitamente) e il sacerdote-capo Amasia (esplicitamente) si sono messi direttamente contro YHWH. Se le cose sono così, allora la conseguenza può essere soltanto come dice la quarta visione immediatemente dopo il racconto di Betel: "è venuta la fine per il mio popolo Israele" (8,2). I lettori dei secoli successivi sanno così la ragione teologica della rovina storica del regno del nord.
Sembra probabile che l'ordine di espulsione intimato da Amasia abbia avuto effetto e che Amos sia stato costretto a ritirarsi in Giuda. Non ci sono indicazioni forti di una continuazione della sua attività lì, quindi si presume che il testo voglia dire che Amos è tornato a Tekoa e al suo lavoro di prima. Un ministero "a tempo limitato" dunque, e per di più un ministero che, umanamente parlando, sembra aver fallito. Per l'ultimo punto si può paragonare il ministero (lungo) di Geremia! Però le parole di Amos si sono avverate nel 733 e nel 722/21; e così sono stati scritti in sintesi e tramandati ... fino ad oggi, dove la loro forza è ancora ben percettibile.
Come al solito, notiamo prima (2.1) alcuni indizi nel testo che potrebbero far pensare ad una storia di redazione del brano, e poi (2.2) accenniamo brevemente ad alcune proposte avanzate dagli studiosi per spiegare questi indizi.
Notiamo quattro punti: (1) il fatto che il racconto interrompe la serie di visioni sembra indicare che è stato composto dopo la prima edizione della raccolta delle visioni; (2) il fatto che il racconto è formulato in terza persona, mentre le visioni sono in prima persona, sembra indicare che proviene originariamente dai discepoli del profeta (cioè non si tratta semplicemente di una sintesi di un eventuale racconto fatto dal profeta stesso); (3) il fatto che 7,16-17 hanno contatti con 7,9 (che sembra un versetto aggiuntivo alla terza visione) sembra indicare che anche vv.16-17 abbiano un'origine più tardiva di quella dei racconti delle visioni (esempi di contatti fra v. 9 e vv. 16-17: il termine "spada" e il nome "Isacco" per il regno del Nord); (4) ci sono parecchi contatti a livello di fraseologia con testi deuteronomistici (cf. Williamson).
Accenniamo a due tipi di proposte di storia redazionale del brano che cercano di spiegare gli indizi appena menzionati.
(1) La prima proposta distingue fra uno strato antico del racconto che si trova nei vv. 10-15 e uno strato più recente vicino alla teologia deuteronomistica che si trova nei vv. 9 e 16-17, formando così una cornice intorno al nucleo antico. Lo strato antico potrebbe venire da discepoli di Amos non molto tempo dopo l'attività del profeta ma dopo la formazione iniziale della raccolta delle visioni. Il brano narrativo sarebbe stato inserito precisamente a questo punto per illustrare meglio il giudizio drastico che conclude la terza visione a 7,8 (ci sono contatti di fraseologia fra quel versetto e i versetti 10, 13, e 15). Lo strato più recente condivide l'alta valutazione dei profeti tipica della teologia deuteronomistica (cf. 2 Re 17,13-18) e insiste nei vv. 16-17 che il tentativo di ridurre il profeta al silenzio (v. 16) era una delle cause della rovina di Israele; l'aggiunta di 7,9 collegava ancora di più il brano narrativo alla terza visione.
(2) Un altro tipo di proposta ha difficoltà di pensare ad uno strato più antico nel brano e sostiene che tutto il materiale di 7,9 e 7,10-17 è stato composto da un redattore del libro di Amos del periodo esilicio o postesilico, che nel suo lavoro si orientava alla teologia deuteronomistica e anche al libro di Osea come esisteva in quel tempo (infatti Jeremias ha notato che ci sono contatti importanti fra 7,9 e temi del libro di Osea). Cioè ci si trova già in fase di composizione del futuro libro dei XII Profeti.
La discussione odierna continua principalmente intorno a questi due tipi di soluzione alla questione diacronica, senza però escludere altre proposte.