Profezia e apocalittica: secondo semestre 2006-07
Charles Conroy [www.cjconroy.net/pr-it/pr00a.htm]



Osea 5,8–6,6:   profezia e politica



Avendo visto nella lezione precedente alcuni aspetti della tematica di critica cultica nel libro di Osea, passiamo adesso ad un'altra area di critica profetica che è importante in Os ma anche in diversi altri libri profetici, cioè, la critica teologica del comportamento del popolo nella vita politica come sintomo o manifestazione della loro relazione verso Dio. Come illustrazione di questa tematica leggeremo Os 5,8–6,6 nella lezione odierna e in quella successiva. Per non allungare ulteriormente il discorso ci limiteremo ad una lettura della forma finale del testo; del resto c'è una buona misura di accordo fra gli studiosi che almeno la maggior parte del testo attuale viene dalle prime raccolte scritte che sintetizzavano il messaggio orale del profeta.

In questa sintesi viene presentata la materia delle due lezioni, divisa in due sezioni come segue:

  1. Questioni letterarie di delimitazione e strutturazione
  2. Lettura commentata del brano nella sua forma finale

Ci sono due pagine di bibliografia per questa testo: (1) e (2).


1.   Questioni letterarie di delimitazione e strutturazione

Iniziamo (1.1) dalla discussione sulla delimitazione del brano, e poi (1.2) vedremo una possibile strutturazione del testo e delle sue sottounità.

Versione del testo (CEI prima edizione)

[5,8a] Suonate il corno in Gàbaa
[5,8b] e la tromba in Rama,
[5,8c] date l'allarme a Bet-Avèn,
[5,8d] all'erta, Beniamino!
[5,9a] Efraim sarà devastato
[5,9b] nel giorno del castigo:
[5,9c] per le tribù d'Israele
[5,9d] annunzio una cosa sicura.
[5,10a] I capi di Giuda sono diventati
[5,10b] come quelli che spostano i confini
[5,10c] e su di essi come acqua verserò la mia ira.
[5,11a] Efraim è un oppressore, un violatore del diritto,
[5,11b] ha cominciato a inseguire le vanità.
[5,12a] Ma io sarò come una tignola per Efraim
[5,12b] e come un tarlo per la casa di Giuda.
[5,13a] Efraim ha visto la sua infermità
[5,13b] e Giuda la sua piaga.
[5,13c] Efraim è ricorso all'Assiria
[5,13d] e Giuda si è rivolto al gran re;
[5,13e] ma egli non potrà curarvi,
[5,13f] non guarirà la vostra piaga,
[5,14a] perché io sarò come un leone per Efraim,
[5,14b] come un leoncello per la casa di Giuda.
[5,14c] Io farò strage e me ne andrò,
[5,14d] porterò via la preda e nessuno me la toglierà.
[5,15a] Me ne ritornerò alla mia dimora
[5,15b] finchè non avranno espiato
[5,15c] e cercheranno il mio volto,
[5,15d] e ricorreranno a me
[5,15e] nella loro angoscia.
[6,1a] «Venite, ritorniamo al Signore:
[6,1b] egli ci ha straziato ed egli ci guarirà.
[6,1c] Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà.
[6,2a] Dopo due giorni ci ridarà la vita
[6,2b] e il terzo ci farà rialzare
[6,2c] e noi vivremo alla sua presenza.
[6,3a] Affrettiamoci a conoscere il Signore,
[6,3b] la sua venuta è sicura come l'aurora.
[6,3c] Verrà a noi come la pioggia di autunno,
[6,3d] come la pioggia di primavera, che feconda la terra».
[6,4a] Che dovrò fare per te, Efraim,
[6,4b] che dovrò fare per te, Giuda?
[6,4c] Il vostro amore è come una nube del mattino,
[6,4d] come la rugiada che all'alba svanisce.
[6,5a] Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti,
[6,5b] li ho uccisi con le parole della mia bocca
[6,5c] e il mio giudizio sorge come la luce:
[6,6a] poiché voglio l'amore e non il sacrificio,
[6,6b] la conoscenza di Dio più degli olocausti.

1.1     Delimitazione

Gli studiosi sono d'accordo nel sostenere che 5,8 apre una nuova pericope nel libro. La ragione principale sta nel cambiamento di campo semantico da quello cultico in 5,1-7 a quello militare-politico nei vv. 8ss.

Più discussa invece è la questione della fine della pericope. Spesso si dice che 6,6 chiude il brano, perchè la tematica cambia dal 6,7 in poi (dal tono teologico alto di 6,1-6 si passa a un tono assai più concreto dal v. 7 o almeno dal v. 8 in poi). Però alcuni commentatori fanno notare che nell'ebraico l'inizio di 6,7 è collegato strettamente per via della sintassi con il versetto precedente 6,6 (e perciò con 6,4-6 almeno); per cui sembra difficile sostenere che 6,7 sia l'inizio di una nuova unità. L'argomento ha il suo peso. Comunque anche per ragioni pratiche di tempo ci limitiamo qui ai versetti 5,8–6,6.

1.2     Proposta di strutturazione

La proposta di strutturazione che segue presenterà le sottounità l'una dopo l'altra: (1.2.1) 5,8-11; (1.2.2) 5,12-15; (1.2.3) 6,1-3; (1.2.4) 6,4-6. Cerchiamo di notare, non solo le eventuali disposizioni testuali di tipo concentrico o parallelo, ma anche i campi semantici caratteristici delle singole sottounità, il che aiuta a preparare il discorso tematico che verrà poi sviluppato nella lettura successiva del testo.

1.2.1   5,8-11

Il v. 8 con i suoi imperativi apre il brano con toni urgenti. I prossimi tre versetti trattano rispettivamente di Efraim [= Israele del Nord] nel v. 9, di Giuda nel v. 10, e di Efraim nel v. 11 (disposizione A – B – A′). Il campo semantico dominante è quello delle azioni militari e di azioni violente nella vita sociale. Notiamo un parallelismo particolare fra il v. 9 e il v. 10: affermazione in terza persona a proposito di Efraim / Giuda (9a-b / 10a-b), seguita da un annuncio divino in prima persona (9c-d / 10c). Nel v. 11b troviamo la prima ricorrenza del verbo "andare, andare dopo" (הלך hālak: qui CEI rende con "ha inseguito"), che riapparirà diverse volte nei versetti seguenti. Anche se le azioni di YHWH vengono menzionate qui (10c, e perciò anche 9d), l'unità s'interessa primariamente di Efraim e di Giuda.

1.2.2   5,12-15

Il pronome personale "ma io..." segnala l'inizio di una nuova sottounità, centrata adesso su YHWH, sulle sue azioni e le sue speranze. Qui i vv. 12-14 sono collegati strettamente insieme, mentre il v. 15 ha una funzione strutturale propria.

La bella disposizione dei vv. 12-14 viene un po' oscurata in alcune traduzioni per via dell'uso di sinonimi invece di ripetizioni come nell'ebraico. Comunque eccone una rappresentazione approssimativa:

12a-b A "io [divino]" + due paragoni per Efraim e per Giuda
13a-b B infermità ... ferita, piaga ...
13c-d C "andare" (HLK) [CEI "è ricorso"]
13e-f B′ non può guarire o curare ... ferita, piaga ...
14a-b A′ "io [divino]" + due paragoni per Efraim e per Giuda
14c-d X Sintesi: "io, io ...": "farò strage" [danno fisico] ... "me ne andrò " (HLK)

L'elemento centrale (C) e la sintesi (X) esprimono la colpa (13c-d) e il castigo (14c-d) con lo stesso verb "andare". La sintesi poi (14c-d) con il suo doppio "io" iniziale (nell'ebraico, non riprodotto nella versione CEI) riprende i due "io" di 12a e 14a. I campi semantici dominanti nei vv. 12-14 sono quelli di "malattia" e "animali e insetti nocivi".

Questi campi non proseguono nel v. 15 che funziona come un versetto-cardine ("hinge-verse"), che da una parte è collegato con ciò che precede e dall'altra parte prepara ciò che seguirà in 6,1ss. Il v. 15a nell'ebraico contiene due verbi alla prima persona singolare (voce di YHWH): "andrò e ritornerò" (il primo verbo è ancora una volta HLK) [la versione CEI combina i due verbi nell'espressione "me ne ritornerò", perdendo così l'effetto della ripetizione di "andare"]. Seguono in 15b-e due espressioni della speranza di YHWH riguardo ad azioni future del popolo orientate verso YHWH (15c: "cercheranno ..."; 15d "ricorreranno"), una volta che il popolo avrà capito la propria situazione negativa (15b e 15e). Qui il testo ritorna al vocabolario di relazioni personali (15c-d); YHWH si aspetta che il popolo capisca le lezioni della storia e che si metta in moto verso il suo Dio.

1.2.3   6,1-3

Subito sentiamo la voce del popolo in discorso diretto (però senza la solita formula di introduzione), che inizia (6,1a) con due verbi "andare" (HLK) e "ritornare" esattamente come nel 5,15a (ebraico): la ripetizione verbale crea l'impressione che le parole del popolo siano una risposta perfetta alle speranze di YHWH.

Seguono (1b-3a) una serie di frasi verbali; i primi sei hanno YHWH come soggetto (1b-2b), poi (2c-3a) si passa al popolo ("noi") come soggetto. [Ci sono problemi di critica testuale in 2c-3a come si può vedere dalle differenze fra le traduzioni.] Il verbo "conoscere" (ידע) appare due volte nell'ebraico di 3a; ciò che il popolo "conosce" di YHWH viene poi espresso con tre paragoni in 3b-d presi dalla natura con connotazioni di fertilità e fecundità. Notiamo anche come i campi semantici di animali nocivi e di malattia, che abbiamo visto in 5,12-14, riappaiono qui a 6,1b-c.

1.2.4   6,4-6

Alla voce del popolo in 6,1-3 risponde qui la voce di YHWH in discorso diretto (e anche senza formula di introduzione). Il Signore rimprovera il popolo (6,4: si noti l'uso di due paragoni presi dalla natura in 4c-d: cf. 3c-d), parla di castighi già avvenuti (6,5a-b), e dà la ragione del rimprovero (6,6) in una frase memorabile formulata in modo parallelistico con grande cura. Il motivo di "conoscere Dio" nel 6b (voce di Dio) riprende 3a (voce del popolo).

2.   Lettura commentata della forma finale del brano

Dividiamo la presentazione secondo le quattro sottounità discusse sopra: (2.1) Os 5,8-11; (2.2) 5,12-15; (2.3) 6,1-3; (2.4) 6,4-6. Aggiungiamo infine (2.5) una breve conclusione.

2.1     Os 5,8-11: le colpe di Efraim e Giuda

vv. 8-9: La grande maggioranza dei commentatori vede qui un riferimento ad una guerra, che per molti di essi sarebbe la guerra Siro-Efraimita del 734/33. Questa tesi si basa sulle seguenti ragioni. Nel v. 8 ci sono tre nomi di piccole città (Gabaa, Rama, e Bet-Aven [prob. = Bethel]) e un nome tribale (Beniamino). Le tre città sono in ordine "sud verso nord", cominciando da Gabaa che si trovava ca. 5 km al nord di Gerusalemme, e sono in agitazione ("suonate il corno ... date l'allarme"). Per questo sembra che qui si alluda ad una guerra dove la fronte avanza da Giuda verso Israele del Nord attraverso il territorio di Beniamino. Secondo un'ipotesi accolta da molti studiosi ciò avrebbe potuto verificarsi dopo l'intervento degli Assiri e la sconfitta di Israele del nord, quando Giuda avrebbe approfittato della situazione per avanzare verso il nord e prendersi alcuni territori da Israele. Il v. 9 vede questo come un castigo per Efraim, che prima voleva far guerra a Giuda.

v. 10: Anche "i capi di Giuda" vengono rimproverati perchè "sono diventati come quelli che spostano i confini" (10b), cioè, volevano occupare territori che non gli appartenevano. L'immagine del 10b si riferisce all'usanza in Israele (e anche nella Mesopotamia) di indicare i confini di una proprietà con pietre particolari; spostare tali pietre veniva giudicato un crimine grave (cf. la prescrizione a Deut 19,14 e la solenne maledizione a Deut 27,17). Per questo l'ira di Dio (10c) si verserà sopra i capi di Giuda.

v. 11: Secondo lo schema A – B – A′, il discorso ritorna a Efraim, Israele del nord. Il versetto è difficile per due ragioni.

Prima, c'è un problema di critica testuale nel 11a. Il testo ebraico massoretico legge due participi passivi (la traduzione sarebbe: "Efraim è oppresso, schiacciato nel diritto..."), e in questo caso 11a continua la descrizione della colpa dei capi di Giuda iniziata nel v. 10. Però la versione greca si serve di forme verbali attivi e aggiunge un complemento oggetto (che non c'è nell'ebraico) al primo verbo: "Efraim opprime l'avversario, calpesta il diritto". In questo caso Israele del nord non è la vittima (come nell'ebraico) ma l'oppressore. La maggior parte delle traduzioni antiche e moderne segue il testo ebraico, come anche molti commentatori; una minoranza però preferisce la lettura greca, magari modificandola leggermente (come fa la versione CEI e la Biblia del Peregrino).

Poi nel 11b c'è un problema ancora più difficile che riguarda l'ultima parola del versetto, il cui senso nell'ebraico è decisamente oscuro. Molte traduzioni si lasciano guidare dalla versione greca antica, e leggono "andare dopo [CEI "inseguire"] la vanità" (CEI, NRSV, Jewish Study Bible); alcune altre preferiscono seguire la Volgata "post sordes [sporcizia]" (così EÜ e NAB). In ogni caso la questione poi è cosa vuol dire il sintagma figurativo "andare dopo, inseguire la vanità / sporcizia ecc."? Si tratta forse di idolatria (come in diversi altri testi, e.g. Os 12,12 dove c'è una parola ebraica simile ma non identica)? Però il contesto intorno a 5,11 parla di questioni politiche, non di culto. Oppure dunque si tratta di qualche colpa nel campo della vita politica (cercare la propria sicurezza nelle alleanze con altri stati, come Damasco)? Oppure, come sostengono diversi commentatori, conviene emendare il testo? La questione rimane aperta.

Comunque, come conclusione della sottounità vv. 8-11, notiamo come il testo non esita a criticare ambedue i regni, nord e sud. La parola profetica non si fa partigiana nè dell'uno nè dell'altro. Smaschera il peccato dovunque sia, nel proprio popolo o nel popolo momentaneamente antagonista. La parola di Dio non viene strumentalizzata da una posizione politica.

2.2     5,12-15: YHWH agisce e poi si ritira e aspetta

vv. 12-14: YHWH agisce

Questi versetti annunciano la reazione di YHWH di fronte al comportamento di Israele e di Giuda, e lo fanno con grande enfasi (nell'ebraico ci sono quattro ricorrenze del pronome personale indipendente "io"). Le due parti del popolo di YHWH sono in colpa e devono essere ricondotte tramite castighi a riconoscere questa situazione e a rivolgersi al Signore.
Il peccato fondamentale dei due popoli viene manifestato nel v. 13: si sono rivolti al "grande re" (di Assiria) pensando di trovare in lui la loro sicurezza. Ma questo re, anche se "grande", non è capace di "guarirli". Devono riconoscere questo tramite l'amara medicina dei castighi.
Dietro questi castighi nella storia c'è l'azione metastorica di YHWH che viene paragonata a quella di insetti nocivi (v. 12) e di animali feroci (v. 14).

v. 15: YHWH si ritira e aspetta

La dimensione metastorica domina qui; gli attori empirici (re di Assiria, Israeliti, Giudei) scompaiono e rimane sulla scena solo YHWH, che riflette con sé stesso. Il versetto fa capire ai lettori che l'immagine feroce di YHWH nel v. 14 non è l'ultima parola, non significa rifiuto o malevolenza nei riguardi del suo popolo; invece lo scopo dei castighi è di riportare il popolo a YHWH (15c-d) tramite l'espiazione (15b) e l'angoscia (15e). Ed è questo che YHWH vuole e aspetta (15a). Il versetto ci presenta il processo di pentimento (ebr. teshuva; gr. metanoia), che è un muoversi fuori dalla paralisi della colpa verso il Dio che vuole e aspetta e rende possibile questo movimento, che può anche richiedere del tempo.

2.3     6,1-3: Efraim e Giuda prendono la parola

Iniziamo (2.3.1) con un commento generale sulla qualità della discorso del popolo in questi versetti, e poi (2.3.2) vediamo più in dettaglio la questione del linguaggio del v. 2.

2.3.1   La qualità del discorso del popolo nei vv. 1-3

Come notato sopra, il fatto che i primi due verbi del v. 1a riprendono esattamente i verbi detti di YHWH nel 5,15a suggerisce al lettore che la risposta del popolo è di ottima qualità, una vera e completa conversione. Tale impressione continua in 6,1b-c che riconoscono l'origine divina dei castighi e esprimono la speranza di una guarigione da parte di Dio. Anche il v. 2 esprime la speranza del favore divino vivificante (2a-b) e promette che il popolo vivrà stabilmente con YHWH (2c: non come 5,11b). Anche il v. 3a sembra ammirevole come desiderio del popolo.

Il discorso si conclude con tre paragoni (3b-d), dove l'azione benevola di YHWH viene paragonata a tre fenomeni della natura che avvengono sempre (l'aurora dopo la notte, le pioggie di autunno e di primavera). E qui subentra forse un certo dubbio nella mente del lettore. Da una parte, le tre paragoni si possono capire in senso buono, cioè, come un modo di dire che il popolo crede con assoluta certezza che YHWH gli risponderà in modo favorevole. Ma dall'altra parte, ci si rende conto che forse il popolo pensa che YHWH sia un dio le cui reazioni siano altrettanto regolari e prevedibili come i fenomeni naturali, un Dio che reagisce "automaticamente" al popolo. È questa la vera conoscenza di Dio, che pure il popolo dice di desiderare (3a)?

Dunque i vv. 1-3 ci presentano una risposta alle aspettative di YHWH (5,15), che in gran parte sembra ammirevole ma che termina in alcuni paragoni almeno potenzialmente ambigui. Bisogna vedere dai versetti successivi se questa ambiguità verrà chiarita in un modo o l'altro. Prima però torniamo al v. 2.

2.3.2   Il linguaggio del v. 2: senso e origine della terminologia

Gli studiosi sono d'accordo che il senso delle immagini di 2a-b (ritorno alla vita dopo due giorni, al terzo giorno) ha a che fare con la restaurazione del popolo (Efraim e Giuda) a una condizione di benessere e prosperità nazionale. Il discorso riguarda il popolo come collettività, non è questione del destino di individui.

La discussione fra gli studiosi riguarda invece l'origine della terminologia metaforica usata qui per esprimere questa speranza nazionale. Nel passato qualche studioso pensava che il testo avrebbe usato il linguaggio della risurrezione corporale di individui come metafora della restaurazione nazionale. Attualmente tale opinione ha pochi sostenitori. Vediamo invece due altre proposte che sono correnti nella ricerca recente.

2.3.2.1     Liturgia dell'alleanza

Un gruppo di studiosi (Good; Wijngaards; Barth; Foresti [cf. la bibliografia]) ha proposto la tesi che una liturgia di rinnovamento dell'alleanza costituisca lo sfondo del brano di Osea (si noti anche il riferimento a sacrifici in 6,6). La liturgia avrebbe avuto una durata di tre giorni: i primi due erano giorni di penitenza, mentre al terzo giorno si celebrava la teofania di YHWH. Secondo questa tesi, dunque, il popolo che si esprime in Os 6,1-3 voleva organizzare una tale liturgia per ufficializzare il loro ritorno leale all'alleanza con YHWH. I riferimenti a "due giorni" e "il terzo giorno" nel 6,2a-b vengono dallo svolgimento dei diversi momenti di questa liturgia.

Come indizio dell'esistenza di una tale liturgia di alleanza questi studiosi si riferiscono a Esod 19,9ff dove viene raccontata una preparazione rituale per la celebrazione dell'alleanza su Sinai e in questo contesto il testo parla esplicitamente di due giorni e di un terzo giorno. Il Signore dice a Mosè: "Va' dal popolo e purificalo oggi e domani: lavino le loro vesti e si tengano pronti per il terzo giorno; perchè nel terzo giorno YHWH scenderà sul monte Sinai alla vista di tutto il popolo" (Esod 19,10-11). E ci sono altre menzioni di "terzo giorno / tre giorni" nei vv. 15-16.

Ipotesi interessante, ma decisamente ipotetica in quanto non abbiamo nessuna notizia certa dell'esistenza di un tale triduo liturgico di rinnovamento dell'alleanza. I testi rituali normativi del Pentateuco non ne parlano, e neanche i libri narrativi. Il testo di Esod 19 viene presentato come avvenimento unico; non contiene nessuna prescrizione di una ripetizione rituale delle ceremonie menzionate.

2.3.2.2     Metafora di prognosi medica

Secondo altri studiosi (in particolare Barré) c'è una spiegazione più convincente del linguaggio di Os 6,2. Secondo questa tesi, le espressioni "ridare la vita" (2a) e "far rialzare" (2b) insieme con le indicazioni temporali sono termini che venivano usati nel linguaggio medico per parlare di una guarigione da malattia grave entro un breve periodo di tempo.

Sarà utile accennare qui ad alcuni aspetti dell'antropologia semitica comune (che valgono per l'antico Israele ma anche per i Semiti della Mesopotamia). Nella mentalità semitica la malattia fu vista come una invasione della sfera della vita da parte della sfera della morte; di un malato grave si poteva dire che "sta scendendo negli inferi, nel mondo della morte". La morte infatti non era concepita soltanto come il momento puntuale del decesso ma come un processo che era già in atto in qualsiasi diminuzione notevole delle forze vitali della persona. Analogamente la guarigione da una malattia grave poteva essere descritta come un "ritorno alla vita", cioè, alla pienezza delle forze vitali della persona.

Nei suoi studi il Barré ha mostrato che in parecchi testi assiri i verbi accadici "dare vita" e "risorgere" (cf. Os 6,2a-b) vengono usati per esprimere la guarigione da una malattia grave. Inoltre, tali testi talvolta offrono anche delle indicazioni del tempo entro il quale la guarigione avverrà se la cura indicata viene seguita; spesso l'indicazione è "entro tre giorni", in almeno quattro testi è "in due o tre giorni". Le somiglianze con il linguaggio di Os 6,2 sono notevoli, tanto più che anche nei versetti precedenti troviamo diversi termini che appartengono al campo semantico medico (cf. 5,13a-b.e-f; 6,1b-c).

La proposta dunque è che Os 6,2 si serve della metafora della guarigione di un persona malata per esprimere la speranza di una restaurazione nazionale del popolo.

2.4     6,4-6: YHWH risponde a Efraim e a Giuda

La risposta di YHWH in questi versetti conferma i sospetti riguardo alla qualità del discorso precedente del popolo che un lettore attento poteva già sentire a causa del linguaggio del v. 3. Effettivamente Efraim e Giuda mancano di costanza nella loro dedizione a Dio (v. 4: 2.4.1); purtroppo non hanno ancora veramente imparato le lezioni del passato (v. 5: 2.4.2); occorre che si rendano conto che una vera risposta a YHWH deve venire dal cuore e che le liturgie sacrificali non sono sufficienti in sé (v. 6: 2.4.3).

2.4.1   YHWH s'interroga (v. 4a-b) e analizza "il vostro amore" (v. 4c-d)

Nel soliloquio del v. 4a-b YHWH si pone delle domande a proposito di Israele e Giuda (cf. anche le domande divine ancora più impressionanti a Os 11,8). Il tono non è di collera ma piuttosto di rincrescimento, quasi di tristezza (cf. anche Is 5,4). Così in queste domande s'esprime l'amore di YHWH per il suo popolo che però continua a non rispondere bene a questo amore.

Un termine chiave del versetto è appunto quello tradotto "amore" (v. 4c: CEI). Si tratta dell'ebraico ḥesed (חסד), che si trova in Os a 2,21; 4,1; 6,4.6; 10,12; 12,7. Il termine ricorre di più nei Salmi (127 volte su un totale di 245 nell'AT); non è particolarmente frequente nei libri profetici, dove ha importanza teologica soprattutto in Os , Ger e Is 40-55. Un breve sguardo alla discussione sulla semantica del vocabolo ebraico sarà utile, anche per comprendere le differenze fra le possibili traduzioni in diverse lingue. Cominciamo dall'uso del termine nelle relazioni inter-umane e poi vedremo i contesti teologici.

Gli studiosi sono divisi per quanto riguarda il contenuto semantico del termine ḥesed in contesti di relazioni inter-umane. Per alcuni, il termine indica un tipo di comportamento che corrisponde correttamente ad una relazione esistente fra due persone (o gruppi), dove esistono diritti e doveri da ambedue le parti (e.g. fra marito e moglie, fra genitori e figli, fra re e popolo); essenzialmente dunque secondo questo concetto il termine indica "lealtà e fedeltà" nel quadro della relazione. Per altri studiosi, invece, bisogna aggiungere qualcosa di più, in quanto il termine connota principalmente un atteggiamento interiore di benevolenza verso l'altra parte, un atteggiamento che non presuppone una relazione giuridica (anche se chiaramente può esprimersi all'interno di una tale relazione) ma può precedere e fondare una relazione con risvolti giuridici; secondo questo concetto il termine indica "benevolenza gratuita, amore".

Passando poi all'uso di ḥesed in contesti teologici, troviamo una diversità corrispondente fra gli studiosi per quanto riguardo l'atteggiamento umano verso Dio (lealtà e fedeltà, oppure anche amore); mentre l'atteggiamento di Dio verso gli umani è di amore gratuito in ogni caso, un amore che può anche creare negli umani la capacità di rispondere bene (cf. Os 2,21).

Tornando adesso a Os 6,4 (dove la maggior parte delle traduzioni rende "il vostro amore"), notiamo che YHWH concede che il popolo ha dimostrato una certa misura di ḥesed, solo che non è ancora sufficiente in quanto non è costante e perseverante. Ciò viene detto attraverso due paragoni presi dalla natura (v. 4c-d), quasi per rispondere ai tre paragoni nel discorso del popolo in v. 3b-d (4c risponde a 3b, e 4d risponde a 3c-d). Si noti anche che il verbo in 4d ("svanisce" nella versione CEI) è il ben noto verbo "andare (via)" (HLK), che ha aperto il discorso del popolo al v. 1a e che è stato usato varie volte in 5,8-15 come notato sopra. Ecco dunque la tragedia del popolo in Os 6,1-6: non si tratta di una infedeltà completa, perchè dopo l'esperienza dei castighi riconoscono il loro bisogno di tornare da YHWH e di conoscerlo, ma non tornano con tutto il cuore (come direbbe il Deuteronomio); manca la qualità di costanza (cf. Os 2,22 e 12,7).

2.4.2   Conseguenze nel passato (v. 5)

Il fatto che i verbi nel v. 5a-b vanno tradotti in tempo passato suggerisce che la risposta inadequata attuale di Efraim e Giuda fa parte di tutta una serie di simili risposte inadequate lungo gli anni, risposte che hanno già avuto delle conseguenze negative, che però il popolo adesso non capisce ancora. Il versetto (non facile) sembra accennare a disastri già avvenuti, che sono stati annunciati (e in questo senso, inflitti) dai profeti di YHWH nel passato. Cf. forse 1 Re 18,39 (Elia e i profeti di Baal); anche episodi delle tradizioni di Eliseo (1 Re 19,17 e 2 Re 9-10).

Il v. 5c è particolarmente difficile sia per la lettura del testo che per la sua comprensione. Quasi tutte le traduzioni seguono la lettura del testo greco (contro l'ebraico) "e il mio giudizio sorge come luce". Il significato potrebbe forse essere che i castighi menzionati in 5a-b avevano e hanno una finalità positiva; dovevano cioè portare il popolo a riconoscere la giustizia salvifica di YHWH che così si manifesterebbe come luce.

2.4.3   Ciò che YHWH vuole dal popolo (v. 6)

Il versetto (citato in parte in Matteo 9,13 e 12,7) esprime in forma memorabile le qualità fondamentali di una buona risposta a YHWH, che non deve limitarsi ad azioni cultiche esteriori ma primariamente deve venire dal cuore. L'ordine delle parole nel parallelismo ebraico è enfatico: "poichè ḥesed voglio, non sacrificio / e conoscenza di Dio più degli olocausti".

Il verbo "voglio" in 6a (חפץ) generalmente significa "desiderare, gradire". In alcuni altri contesti viene usato riguardo al culto (Is 1,11; Mal 1,10; Sal 40,7 [= Ebr 10,5-7]; Sal 51,18.21) per esprime l'accoglienza o meno di un sacrificio. Cf. soprattutto 1 Sam 15,22 (testo assai vicino a Os 6,6). Qui YHWH dichiara che tipo di culto verrà accolto da lui. Sarà un culto caratterizzato dalle due qualità di ḥesed e "conoscenza di Dio". Avendo discusso brevemente la prima di queste qualità sopra a proposito del v. 4, aggiungiamo qui una parola sulla seconda.

Il tema "conoscere Dio / conoscenza di Dio" è importante nel libro di Osea, dove appare in una dozzina di testi, sia affermativamente che negativamente. Non si tratta soltanto di conoscenza intellettuale (anche se questo aspetto non è affatto assente) ma implica anche una relazione personale, un riconoscimento trasparente e fattivo della persona di YHWH che viene incontro al popolo e al singolo. Secondo alcuni studiosi, l'insistenza sul tema in Osea potrebbe essere collegata con l'uso della metafora matrimoniale nei primi capitoli del libro, in quanto "conoscere" in ebraico viene usato anche per indicare i rapporti intimi fra uomo e donna (cf. Gen 4,1.17).

Sorge adesso la domanda: i sacrifici e gli olocausti sono dunque dichiarati inutili, obsoleti, nocivi da Os 6,6? Nel passato alcuni studiosi hanno risposto affermativamente; secondo loro, il versetto presenta una critica radicale e un rifiuto totale del culto esteriore. Oggi si vede meglio che una tale interpretazione, influenzata probabilmente da posizioni di polemica confessionale fra cristiani, è del tutto implausibile per l'antico Israele. Già la formulazione del v. 6b "più degli olocausti" suggerisce una comprensione più sfumata. Ciò che YHWH vuole come condizione "sine qua non" della sua accoglienza della risposta del popolo è che abbiano nei suoi riguardi le qualità di ḥesed e della vera conoscenza di Dio, senza le quali il culto sacrificale non può avere valore. I sacrifici in sé non sono rifiutati; ma devono essere offerti da persone impegnati a vivere la vera conoscenza di Dio con ḥesed.

2.5     Conclusione della lettura

Il brano Os 5,8–6,6 fa vedere che la parola profetica può rivolgersi al mondo della politica. Lo fa qui in due modi: criticando e proponendo. Critica le decisioni dei due regni sul piano empirico della politica estera (le invasioni fatte da Israele del nord e da Giuda), perchè queste decisioni sono sintomi di un difetto profondo che riguarda la relazione con Dio: la critica politica non è solo politica, ha una dimensione teologica. La parola profetica propone invece che il popolo di ambedue i regni si svegli ai valori essenziali della relazione con Dio, che sono quelli di ḥesed e di conoscenza di Dio, che devono animare anche il culto sacrificale che era parte normale della vita pubblica dei due regni.


inizio pagina