La sesta unità del corso è dedicata al libro di Daniele e alla letteratura apocalittica di cui fa parte. Cominciamo da questo contesto più largo e poi, in altre due lezioni, vedremo alcuni aspetti del libro di Daniele. Negli studi recenti c'è molto interesse nella letteratura apocalittica, sia quella biblica (nell'AT principalmente il libro di Daniele, nel NT il libro dell'Apocalisse e vari brani in altri libri) che quella non-biblica (le opere "apocrife" giudaiche e cristiane, e anche certe opere fuori di queste tradizioni). Non sarà evidentemente possibile in una sola lezione presentare la ricchezza della discussione e la varietà di approcci a proposito di una materia così vasta. Si cercherà solo di presentare due posizioni nel dibattito sulla "definizione" della letteratura apocalittica giudaica e poi di vedere la discussione diacronica sull'origine di tale tipo di letteratura.
I punti principali della lezione dunque sono:
Una bibliografia scelta sulla letteratura apocalittica si trova qui.
Cerchiamo prima (1.1) di chiarire alcuni punti di terminologia, poi (1.2) notiamo quali opere vengono generalmente classificate come appartenenti al genere "apocalisse", e infine (1.3) vediamo due tentativi di descrivere le caratteristiche essenziali e comuni di queste opere.
Nella discussione fra studiosi intorno alla letteratura apocalittica esiste purtroppo una certa ambiguità nell'uso dei termini. Si possono distinguere almeno tre aree di uso: (1) un senso letterario, dove si sta parlando di un tipo specifico di testo ("apocalisse" = un'opera letteraria di un certo tipo); (2) un senso concettuale, dove si sta parlando di una visione del mondo (Weltanschauung) di cui un'apocalisse concreta è un'espressione ("apocalittica" oppure "apocalitticismo" come un insieme di concetti e ideali religiosi e culturali); (3) un senso sociologico, dove certi studiosi parlano di "comunità apocalittiche" (oppure anche di "apocalitticismo"), la cui vita sarebbe basata sull'ideologia o visione del mondo tipica dei testi apocalittici.
Il terzo senso è quello più problematico, in quanto non è affatto necessario che l'esistenza di testi apocalittici porti alla formazione di comunità apocalittiche. Per queste ultime, del resto, alcuni studiosi preferiscono parlare di "comunità millenaristiche" ("millenarian communities": termine ben noto negli studi della sociologia della religione).
In ciò che segue privilegiamo il primo uso, cioè, quello letterario, menzionando solo di passaggio gli aspetti di visione del mondo e della matrice sociale dell'apocalittica.
Storicamente parlando il termine "apocalisse" indicava originariamente l'ultimo libro del NT; poi è stato applicato ad altre opere che mostravano una somiglianza notevole con l'Apocalisse del NT.
Le "apocalissi" giudaiche vengono da un periodo di quasi 500 anni fra gli ultimi decenni dell'epoca persiana (seconda metà del quarto sec. a.Cr.) e la prima parte del secondo sec. d.Cr., dunque grosso modo fra 350 a.Cr. e 150 d.Cr. In quell'arco di tempo c'erano però due punti focali per la produzione di opere apocalittiche: la rivolta dei Maccabei nel secondo sec. a.Cr. e la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70 d.Cr.
I testi apocalittici giudaici più antichi si trovano fuori della Bibbia in alcune parti del libro ("apocrifo") di 1 Enoch (1 Henoch): nello strato più antico dei capp. 72-82 ("il Libro Astronomico", o "Libro dei Luminari": datato da Nickelsburg verso la fine dell'epoca persiana), e nei capp. 1-36 ("il Libro dei Vigilanti", "the Book of the Watchers": formato, secondo Nickelsburg, nella seconda metà del terzo sec. a.Cr. sulla base di alcuni testi del quarto sec. a.Cr.). Poi c'è il libro biblico di Daniele (edizione finale nel secondo sec. a.Cr., come vedremo). Intorno alla crisi del 70 d.Cr. sono stati composti i libri non-biblici di II Baruch e IV Esdra (Fourth Ezra). Più tardi, forse nel secondo sec. d.Cr., viene l'Apocalisse di Abramo. Traduzioni di queste opere non-bibliche, e altre ancora, si possono trovare nelle raccolte di "Apocrifi dell'AT" disponibili in molte lingue.
Anche se noi ci limitiamo qui alle opere giudaiche, conviene notare che c'erano anche diverse opere apocalittiche cristiane fuori del NT (dunque fra gli "Apocrifi del NT") e opere apocalittiche persiane e gnostiche.
È chiaro che le varie "apocalissi", appena menzionate, contengono diverse generi letterari al loro interno (racconti di visioni, preghiere, esortazioni, ecc.), ma ciò non toglie la possibilità e l'utilità di parlare di un macro-genere "apocalisse", in quanto c'è una certa somiglianza "di famiglia" ("family resemblance") fra queste opere pur nella loro diversità. Vediamo adesso due tentativi nella ricerca recente di formulare una definizione descrittiva delle caratteristiche essenziali di un'apocalisse, prima (1.3.1) la proposta di John J. Collins, e poi (1.3.2) quella di Paolo Sacchi.
Nel 1979 un gruppo di studiosi nord-americani, sotto la guida di John J. Collins, pubblicò una formula descrittiva che ha guadagnato molti consensi nei decenni successivi fino ad oggi, anche fra studiosi europei (in Germania e altrove). Varie modifiche sono state introdotte successivamente nella formulazione grazie al dialogo con altri studiosi. Eccone dunque una traduzione approssimativa:
"'Apocalisse' è un genere di letteratura di rivelazione con una cornice
narrativa, che racconta come una rivelazione divina è stata comunicata da
un mediatore sovrumano a un ricevente umano. La rivelazione manifesta una
realtà trascendente dal punto di vista temporale (in quanto si tratta di
una salvezza escatologica) e dal punto di vista spaziale (in quanto si
tratta anche di un altro mondo soprannaturale)."
La finalità di queste
opere, secondo Collins, è "...di interpretare le circostanze difficili del tempo presente
nella luce del mondo soprannaturale e del futuro escatologico, e così di
influenzare sia la comprensione della realtà dei destinatari che il loro
comportamento pratico grazie all'autorità divina della rivelazione."
Questo macro-genere "apocalisse" comprende due sotto-generi: "il viaggio nell'altro mondo" (e.g. 1 Enoch 1-36; 1 Enoch 72-82) e "l'apocalisse storica" (e.g. Dan; IV Esdra). Aggiungiamo adesso qualche spiegazione degli elementi di questa descrizione, che comunque vedremo esemplificato anche nel testo di Dan 10-12 che studieremo in una lezione successiva.
1.3.1.1 La cornice narrativa
Di solito troviamo tre aspetti nel racconto delle circostanze della rivelazione. (1) La modalità della rivelazione: secondo i testi può essere tramite una visione del contenuto della rivelazione (Dan 7; 8) o tramite l'epifania del mediatore della rivelazione (Dan 9; 10-12) che poi offre una interpretazione della storia periodizzata (Dan 10-12: e le altre "apocalissi storiche") oppure accompagna il ricevente umano in un viaggio nell'altro mondo. (2) La presenza del mediatore sovrumano (spesso un angelo): una caratteristica che distingue un'apocalisse da molti testi profetici dove il profeta riceve direttamente da Dio il messaggio da comunicare ai destinatari. (3) Il ricevente umano: spesso si tratta di una personaggio famoso del (lontano) passato, e.g. Enoch (cf. Gen 5,18-24), Abramo, Elia, ecc. Cioè, molte opere apocalittiche non presentano il loro autore col suo vero nome (come invece fanno molti testi profetici) ma si presentano come rivelazione a un personaggio famoso del passato (pseudonimia). Tale uso di un pseudonimo aveva lo scopo di dare più autorità alla rivelazione. Spesso si presentano anche le reazioni di paura e di incomprensione del ricevente umano (cf. Dan 7,15.28; 8,15-18.27).
1.3.1.2 Contenuto della rivelazione
La dimensione più importante è quella temporale. Questa può prendere la forma di protologia (raccontando gli inizi del mondo) oppure di periodizzazione storica di una successione di regni (spesso descritti in modo simbolico come animali). Comunque l'aspetto essenziale è la rivelazione del dramma escatologico, con i suoi tre momenti successivi: la crisi escatologica (persecuzione dei giusti; varie tribulazioni e sconvolgimenti anche cosmici); il giudizio escatologico (dei peccatori impenitenti, del mondo materiale, degli angeli cattivi); la salvezza escatologica (i fedeli risorgeranno a nuova vita; il cosmo verrà rinnovato).
Accanto alla dimensione temporale c'è anche un aspetto spaziale, cioè descrizioni del mondo sovrannaturale (e.g. lo scenario del grande giudizio in Dan 7; in alcune apocalissi extra-bibliche lunghe descrizioni delle varie regioni celesti che vengono mostrate al ricevente umano) e spesso molta insistenza su angeli buoni e cattivi e sulle loro lotte.
1.3.1.3 Finalità della rivelazione
Le apocalissi hanno normalmente un doppio scopo: (1) di offrire una chiave di interpretazione nella fede per i fedeli del Signore che si trovano in una situazione storica difficile (che può essere quella di una persecuzione violenta, come in Dan, oppure di una crisi di alienazione causata dalla presenza attraente di una cultura dominante, come l'impatto della cultura ellenistica sul giudaismo tradizionale); (2) conseguentemente di motivare i lettori a mantenere la loro fedeltà al Signore, se necessario sacrificando la vita come martiri (cf. l'insistenza nelle apocalissi sul tema della nuova vita dopo la morte).
Anche se maggioritario fra gli studiosi contemporanei, l'approccio di Collins non è l'unico in campo. Lo studioso italiano, Paolo Sacchi, da tempo propone nei suoi molti scritti un approccio più storico e meno descrittivo alla questione come formulare i tratti essenziali delle opere apocalittiche. Secondo Sacchi (e altri studiosi che l'hanno seguito), bisogna cominciare dalle opere più antiche, cioè, dal primo libro di Enoch, se vogliamo vedere bene quali siano gli aspetti essenziali. Nel Libro dei Vigilanti (1 Enoch 1-36) Sacchi nota il grande interesse per il problema dell'origine del male e propone che appunto questo tema rappresenti l'elemento distintivo di una particolare corrente di pensiero nel Giudaismo dell'epoca ellenistico, che si sviluppò e si arricchì di altre tematiche col passare del tempo; il termine "apocalittica" secondo Sacchi dovrebbe essere riservato alle opere che provengono da tale corrente di pensiero.
Molti studiosi, pur ammettendo l'importanza della tematica "origine del male" nel Giudaismo di epoca persiana e ellenistica e pur riconoscendo che il genere "apocalisse" ha indubbiamente avuto una sua storia e sviluppo, nondimeno esitano ad accettare una definizione così restrittiva (a loro parere) dell'apocalittica. Chi insiste sulla definizione di Sacchi può arrivare addirittura alla conclusione che il libro di Daniele non dovrebbe essere compreso fra i testi apocalittici (così Boccaccini). In ogni caso, notiamo che il Boccaccini, che ha studiato con Sacchi a Torino e adesso insegna negli Stati Uniti, negli anni recenti ha proposto una tesi molto interessante sull'esistenza di un "giudaismo enochico" nel periodo del "Medio Giudaismo" (300 a.Cr. – 200 d.Cr.), accanto a quello più centrale, che avrebbe avuto anche notevoli influssi sulle idee della comunità essena di Qumran.
Vediamo prima (2.1) la questione degli influssi dall'estero, poi (2.2) la discussione sulla relazione fra letteratura apocalittica e le tradizioni israelitiche (profezia e saggezza), e infine (2.3) notiamo le tendenze dominanti nella discussione recente.
All'inizio del 20º sec. parecchi studiosi della scuola di Storia delle Religioni (Religionsgeschichtliche Schule) sostenevano che l'apocalittica giudaica è sorta come importazione dalla cultura persiana. Questa tesi era fondata sulla presenza nei testi apocalittici di un certo dualismo (lotta fra forze del bene e forze del male), di una insistenza sul ruolo di angeli e demoni, e di un grande interesse in questioni di escatologia e di risurrezione personale – caratteristiche che secondo questi studiosi erano presenti nell'antica religione iraniana del Zoroastrismo (anche detto Mazdeismo), mentre non si trovavano (almeno in una misura paragonabile) nella religione antica d'Israele.
Oggi questa tesi praticamente non ha più seguaci, nel senso che quasi nessuno sostiene che la teoria costituisca una spiegazione completa delle origini dell'apocalittica in Israele. Da una parte, come vedremo subito, ci sono contatti innegabili fra i testi apocalittici e le altre tradizioni israelitiche; e dall'altra la questione dell'antica religione iraniana è estremamente difficile (la datazione dei testi classici e dei loro contenuti e delle tradizioni sottostanti è tuttora materia di dibattito fra gli specialisti, per cui non è affatto chiaro quali siano state le credenze dello Zoroastrismo nel sesto-quinto sec. a.Cr.).
Però gli studiosi odierni ammettono senz'altro che c'erano diversi influssi (anche se non determinanti) sull'apocalittica giudaica da parte delle culture circostanti insieme con gli influssi indigeni. Nei testi apocalittici certi tratti fanno pensare a vecchi temi della religione dell'area Siro-Palestinese (lotta fra Dio e il dragone ecc.); in un modo o altro la religione iraniana probabilmente ha contribuito alcuni aspetti; forse anche la religione babilonese tardiva (cf. Kvanvig 1988).
La discussione qui riguarda le relazioni fra i testi apocalittici e le tradizioni profetiche da una parte (2.2.1), e la corrente sapienziale dall'altra (2.2.2).
Secondo la tesi tradizionale, che in buona misura è ancora quella più comune, l'influsso dominante sui testi apocalittici veniva dalla profezia israelitica, in particolare dall'escatologia profetica del periodo postesilico. Gli studiosi di questa linea (negli ultimi trent'anni Hanson in particolare, ma anche molti altri prima e dopo di lui) notano come l'escatologia profetica gradualmente si modificava nel tempo postesilico con l'uso più frequente di immagini cosmiche e mitiche. Inizialmente (nel Secondo Isaia) si trattava di un'escatologia storica, che sperava in una restaurazione di Israele nella storia (ritorno alla terra promessa, ricostruzione del Tempio a Gerusalemme, ecc.), ma pian piano che passavano i decenni e il compimento pieno delle speranze non si vedeva, il legame con la storia diventava più debole e le speranze si proiettavano fuori della storia verso un grande compimento alla fine dei tempi, un compimento messo in atto da un intervento decisivo di Dio che avrebbe eliminato tutte le forze del male, donando la salvezza definitiva ai suoi fedeli. Segni di questa radicalizzazione dell'escatologia (escatologia trascendente) si vedono, per esempio, in alcuni testi tardivi del libro di Isaia (per esempio, Is 65–66). Poi in alcuni testi di Zaccaria appare un angelo come mediatore della rivelazione, ancora storica però (Zacc 1,9ss; 4,1ss; ecc.). Secondo Hanson il genere "apocalittica" emerge quando queste due linee convergono (l'escatologia trascendente e la rivelazione mediata da un angelo), e ciò accadde per primo nelle parti più antiche del libro di Enoch (come visto sopra).
In netto contrasto con la tesi precedente Gerhard von Rad, autore di un'opera classica di Teologia dell'AT negli anni 1950 e 1960, sosteneva con forza che la letteratura apocalittica non dovrebbe in nessun modo essere vista come "figlia della profezia". Secondo lui, la prova decisiva della diversità radicale fra l'apocalittica e la profezia si trova nel concetto diverso della storia nei due tipi di testi. Nella profezia, la storia viene vista come storia della salvezza (Heilsgeschichte), reso intelligibile dal suo rapporto con le grandi tradizioni di elezione (Mosè, Davide, Sion). Nell'apocalittica invece, anche se spesso si parla della storia, non c'è realmente un interesse nella storia, perchè l'apocalittica sostiene che tutto è già preordinato da Dio (cf. la periodizzazione della storia) e la sola cosa che conta è l'esperienza della fine dei tempi quando avrà luogo il grande atto del giudizio definitivo di Dio. L'apocalittica vuole comunicare la conoscenza degli ultimi tempi, e questo orientamento verso la conoscenza situa l'apocalittica dentro la corrente sapienziale d'Israele. Von Rad notava che ci sono anche altri segni del primato della conoscenza nell'apocalittica, come la periodizzazione della storia, le speculazioni cosmologiche, e l'interesse nell'angelologia e nella demonologia. Dunque propone la tesi che l'apocalittica in Israele si sviluppò direttamente dalla corrente sapienziale (anche con qualche contributo secondario dalla profezia).
Questa argomentazione di von Rad è stata oggetto di molta discussione e la conclusione della grande maggioranza degli studiosi era che la tesi era troppo unilaterale. Questo ci porta alla situazione odierna della ricerca.
Attualmente si cerca di superare la contrapposizione degli anni 1970 e 1980 fra sostenitori dell'origine dell'apocalittica dalla profezia e quelli che insistevano sulla connessione con la saggezza. Sempre più si tende a vedere i testi apocalittici come 1 Enoch e Daniele come un nuovo fenomeno in Israele, che rappresenta una fusione fra elementi profetici, elementi sapienziali (soprattutto della saggezza mantica), e anche influssi dall'estero facilitati dagli interscambi culturali del periodo ellenistico. La saggezza mantica, appena menzionata, è quella dedicata all'interpretazione dei sogni e dei segni e presagi (cf. lo stesso Daniele nei primi capitoli del libro, o anche la figura di Giuseppe in Egitto); parecchi studiosi recenti vedono dei contatti fra alcuni aspetti dei testi apocalittici e la visione del mondo e la teoria della saggezza mantica attestata soprattutto nella letteratura mesopotamica (ma non solo lì).